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Giulio Andreotti, detto anche il divo Giulio, Belzebù, il Papa nero, è il personaggio più longevo della storia italiana e al tempo stesso il più controverso. L’unico politico di statura nazionale di cui sono stati accertati i rapporti con la mafia almeno fino al 1980, ma anche l’amico sincero di molti pontefici e il generoso dispensatore di oboli agli orfani e alle vedove. Ascetico nei comportamenti ma capace di accumulare enormi quantità di fondi occulti per mantenere il potere. Nemico storico della sinistra, ma anche primo fautore di un governo appoggiato dai comunisti.
Da Sindona a Moro, da Pecorelli a Dalla Chiesa, dai militari golpisti a Licio Gelli, dai palazzinari romani ai mafiosi siciliani, l’intera vita di Andreotti è costellata di delitti, di misteri, di nemici per bene e di amici impresentabili. Per decenni i vignettisti hanno lavorato intorno alla sua inconfondibile sagoma, la sua vita è stata costantemente illuminata dai riflettori, i suoi motti appartengono al lessico corrente degli italiani, eppure non è esistito nel Paese un altro uomo così insondabile e irrimediabilmente distante dai suoi simili.
Dal secondo dopoguerra all’era Berlusconi, Michele Gambino traccia un profilo del personaggio in larga parte inedito, ricostruendone, oltre alle vicende giudiziarie e storiche, la psicologia, la religiosità, i sentimenti e le pulsioni celate dietro la maschera di cera.
Così il divo Giulio diventa un "italiano vero", di Piero Melati
Intervista all'autore per "Le strade di Babele", di Eugenia Foddai
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Siamo ancora ad Andreotti?, di Iacopo Gori
Siamo ancora ad Andreotti? Nella primavera del 2013, aspettando un governo che non arriva, che senso ha leggere un libro come Andreotti, il papa nero, (l'antibiografia del Divo Giulio) scritto da Michele Gambino (Manni editore, 16 euro)? Forse nessun senso, se non per mero valore storico. Forse molto senso perché in tanti, dalle nostre parti, tendono a dimenticare. E chi dimentica il passato rischia di non capire bene il presente. O di perdersi particolari importanti.
A pensar male si fa peccato ma spesso ci si indovina. Intervista all'autore, di Carlo D'Amicis
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Andreotti, un'antibiografia, di Filippo La Porta
Al di là di ogni demonizzazione c’è soprattutto una colpa morale che gli va imputata e riguarda la sua celebre frase: “A pensar male degli altri si fa peccato ma ci si indovina"
Uomini che sapevano tutto. Viote parallele di Giulio Andreotti e Elio Ciolini, di Girolamo De Michele
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