Vendicazioni

Vendicazioni

copertina
anno
2008
Collana
Categoria
pagine
120
isbn
978-88-6266-075-4
13,30 €
Titolo
Vendicazioni
Prezzo
14,00 €
ISBN
978-88-6266-075-4
Micro-racconti per chi ha “bisogno di quiete, di solitudine, di un giardino da curare, di un cane da allevare, di libri su cui meditare”.
Brevi e intensi, quasi apologhi in forme essenziali, quasi frammenti, hanno la pretesa di sconfinare nel nulla, nel silenzio.
INCIPIT

Via Carlo Marx 606


 
A Sesto San Giovanni, in via Carlo Marx 606 viveva C.M. di professione vecchio, anzi raccoglitore di cartoni, anzi barbone. Vecchio perché aveva 75 anni, raccoglitore di cartoni perché se un pensionato al minimo si arrangia a fare qualche lavoro per campare diventa ipso facto quel lavoro, non più insegnante in pensione, operaio in pensione ma impagliatore di cani, tatuatore, posteggiatore abusivo, ambulante o robivecchi. Il mestiere improprio e irregolare di oggi retroagisce e trasforma tutta una vita, assorbe i quaranta anni di sgobbo legale appropriato riconosciuto e addirittura stimato. Barbone perché era solo, oltre a tutto il resto, pure già sufficiente.
Solo in un condominio di 126 appartamenti.
Il condominio appartiene al Comune, C.M. era in affitto. Alla finestra ci arrivava incespicando tra balle di cartoni e elettrodomestici raccolti nei cassonetti, anzi a fianco, posati per benino e deposti come bimbi di cui ci si sbarazza sulla soglia di qualcuno: apparecchi perfetti abbandonati perché ostinatisi a non funzionare. In genere contatti elettrici banali, qualche volta un filo staccato, roba che anche una scimmia saprebbe riparare, divenuti per quei bischeri segni di una magia che improvvisamente smette di operare. Il frullatore non frulla, il tostapane non tosta, ed ecco un bipede armeggiare e plaf! L’oggetto provvisto di quelle tali virtù magiche retrocesso a rumenta, appoggiato vicino al contenitore della monnezza perché l’apposito servizio municipale provveda a cancellarne l’esistenza.
Quegli apparecchi non facevano un bel vedere: erano talvolta sporchi, spesso brutti se fuori moda senza provenire dall’incantato mondo del design anni Sessanta, sempre con lo stigma di essere appartenuti ad altri cui lui non li aveva rubati – il che avrebbe dato un senso sociale al suo lavoro – altri cui lui era semplicemente subentrato quando costoro se ne erano liberati dichiarandoli inutili.
I vicini lo guardavano male: passi per la raccolta dei cartoni, perfetta per un vecchio barbone, ma quella raccolta di oggetti che non dovevano più funzionare e che lui rimetteva a posto con pochi gesti distratti era segno evidente di un temperamento antisociale, di un ostinarsi a giudicare i milanesi perbene che con mille sacrifici, vivendo alle spalle del Comune, si erano fatti il mercedes e il tuttoterreno, parcheggiati lucenti tra la polta di una periferia immonda proprio sotto quella finestra da cui si affacciava con tanta fatica.
Quando arrivò la sua ora pensò con soddisfazione che quel suo museo eretto alla stupidità umana, alla dabbenaggine di quei poveretti che riempivano il casamento e quelli vicini, non sarebbe stato capito da nessuno. C.M. non aveva previsto che l’idiozia è pervasiva e pandemica e che stava rischiando di non mettere nessuno alla prova di quel suo beffardo pensiero. Restò stecchito in casa senza che nessuno venisse a vedere, per giorni, poi per settimane, poi per mesi. Rischiò di rimanere sepolto e sconosciuto per anni e secoli, già mummificato e pronto per i millenni.
Furono gli affitti non pagati a fare il miracolo: una procedurina amministrativa, partita da un foglio di un ufficio indirizzato ad un altro ufficio, poi ad altri ancora, direttamente e per conoscenza, poi a un giudice poi alla forza pubblica e a quei tali articoli che costituivano la Legge, davano corpo allo Sfratto e si materializzarono dieci mesi dopo in un operaio che forzava la porta, entrava, chiamava e restava stupito di quel vecchio incartapecorito e così ben conservato tra televisori centrifughe e goffe scope elettriche.