Alda Merini, Canto Milano

16-06-2007

Esce da Manni un libro della Merini dedicato a Milano, di Rossella Trabace

Maria Corti considerava la sua poesia una macchina d’amore che mette nell’ombra ogni cronaca. Alla filologa e scrittrice milanese, Alda Merini fu legata da lunga amicizia, vieppiù consolidata dal comune legame con la Puglia: laddove l’autrice de L’ora di tutti vi si stabilì nel 1930 per restarci quasi una vita intera, la Merini vi giunse infatti al seguito del medico e poeta tarantino Michele Pierri, che sposò nel 1983. Fu proprio la Corti, poi, a presentarle Piero Manni, la cui casa editrice ha da allora pubblicato quattro suoi libri, incluso l’ultimo Canto Milano, raccolta di versi e piccole prose – editi e non – cui si aggiunge un’antologia critica sulla poetessa e un corredo fotografico che dà atto del rapporto fra la Merini e la sua città natia.
Che poi è la grande protagonista di questo volumetto che si apre proprio con un ricordo dei cinque anni pugliesi che tennero la Merini lontana dai suoi Navigli per amore di Pierri: «Per lui mi sono battuta, o meglio, contro di lui mi sono battuta, perché non voleva introdurmi nella sua casa, nel suo ambiente. Io, una donna del Nord, dal passato turbolento, e la sigaretta in una bocca ormai senza denti», scrive, prima di tornare a descrivere quel quartiere ormai «irriconoscibile». Là dove prima c’erano artisti e intellettuali, ora ci sono i nuovi ricchi («straccivendoli che si sono messi a commerciare antiquariato») oppure terrùn («che sono anche simpatici, grandi lavoratori»). Un posto dove «non si sogna più», condizione ormai comune a un’umanità che ha «perso l’umanità».
Ci sono poi le Satire della Ripa, una piccola ode/invito Per il sindaco di Milano, perché sappia che quella «città perfetta / ha bisogno di un fiore / che lungamente sorrida», un ricordo di Manganelli sul Naviglio, la tristezza di quell’enorme dolore «di essere sgradita alla mia gente». Forse per questo torna il ricordo di Pierri, di quell’uomo del Sud, così benvoluto. «L’ho amato come poeta e come uomo», scrive la Merini; «sono stati i suoi figli che si sono allarmati per la nostra differenza d’età, pensando che io volessi approfittare di quello che loro chiamavano “vecchio decrepito”».
È una sorta di lungo flusso di ricordi, quello che riempie le prime pagine di Canto Milano. Un amore antico corroso dal tempo e dai mutamenti, tanto da far concludere quella lunga introduzione, firmata dalla Merini appena pochi mesi fa, che «Non l’amo più Milano. È diventata una belva, non è più la nostra città. Adesso è una grossa signora piena di inutili orpelli».