Alda Merini, Sono nata il ventuno a primavera

19-04-2005

Alda Merini, poesia e vita nell'innamoramento per la parola, di Nicola Vacca


Il rapporto di Alda Merini con la poesia è unico. La poetessa dei Navigli vive la sua vita immersa nell'armonia della parola poetica. Nella sua piccola casa milanese riceve i suoi ospiti, li incanta con il suo carisma magnetico, donando versi e impressioni colorate di assoluto.
Questa immensa fortuna è capitata anche all'editore Piero Manni, amico di lunga data della Merini. Piero si è recato nella casa-laboratorio della più grande poetessa italiana vivente. Da questo incontro è nato un libro suggestivo, in cui Alda Merini parla di poesia, ma soprattutto si confessa, racconta senza maschera la sua travagliata esistenza. Sono nata il ventuno a primavera è un libro che bisogna assolutamente leggere per entrare nel cuore della sua poesia.
Con grande franchezza la poetessa si lascia andare a un lungo racconto in forma di monologo, in cui la sua poesia si incrocia magicamente con la vita. Per Alda il rapporto tra scrittura e vita si risolve nella grande intuizione: «La vita è poesia».
La chiacchierata di Piero Manni con la Merini si divide in due sezioni tra di loro complementari. «Dalle nostre conversazioni – racconta lo stesso curatore – ho tratto una biografia intellettuale di Alda, arricchendola di poesie e citazioni tratte dai suoi libri, le quali si riferiscono alle persone e alle esperienze di cui parla. La seconda sezione del libro, È stanco il poeta, è riportata nella forma originaria della conversazione, in quanto Alda parla della sua poetica sollecitata dalle mie curiosità, dalle mie domande che risultano necessarie per comprendere le risposte, il pensiero di Alda.»
Nelle pagine che l’autrice di Vuoto d’amore dona all’amico editore, incontriamo il lirismo struggente di un’esistenza vissuta senza mediazione, con grande passionalità e dolore: «Io ho fatto una vita esattamente contro la mia volontà, e lì è andata persa tutta la mia spiritualità. E poi, come donna di casa non valevo nemmeno un tubo, come madre nemmeno, anche se ho sempre sentito la maternità, sono una madre nata, però non una madre che spolvera, che sta attenta che il bambino non sporchi, non si faccia una macchia: sono una madre morale, mentale, custode dei figli.»
Ma è nella seconda parte del libro, dove Alda risponde alle domande dell’amico Piero, che viene fuori l’autentica vocazione della poetessa innamorata dell’appassionamento delle parole, che con la loro logica diabolica risolvono il disordine, la confusione con l’ordine incredibile di un’epifania invisibile: la materia incandescente di una forte intuizione spirituale.
Il poeta – racconta la Merini – è il portatore sano di questo magma, di questa palude che poi diventerà aria, portatore della propria umanità che diventa speranza nell’incontro ospitale con l’altro.
Alla fine Alda stupisce il suo interlocutore e gli dona un pugno di nuove poesie innamorate dell’amore, intensamente ispirate da quell’autentica religiosità laica che scorre nelle sue vene. Piero, convinto che la poesia sia un grande dono, le raccoglie nella parte finale del libro. Così si congeda dalla casa sui Navigli, convinto che i numerosi lettori di Alda Merini saranno davvero contenti di leggere queste pagine semplici, innocenti, pure come la poesia. Grazie Piero per averci donato le parole intense d’una meravigliosa “donna d’amore”, che ama la poesia come la sua stessa vita.