Angelo Roma, The Writers Method

02-11-2010

Scrittori, il segreto è nel Metodo Stanislavskij, di Rossano Astremo

The Writers Method (Manni Editori) è il titolo del nuovo libro di Angelo Roma, scrittore nato a Brindisi, che insegna Scrittura creativa e Antropologia della narrazione all’Università degli Studi di Bergamo. Nel libro l’autore porta la sua esperienza di narratore ed alcune tecniche relative al “lavoro sul personaggio” secondo il Metodo Stanislavskij, che ha appreso frequentando dei workshop all’Actors Studio di New York. Lo abbiamo intervistato per parlare del suo libro, ma anche di editoria e dello stato della narrativa italiana.
Perché nel suo volume lei consiglia a chi si dedica alla pagina scritta un rigoroso perseguimento delle direttive del mitico Actors Studio? Quale il valore aggiunto per uno scrittore?
Fra le varie attività di ricerca che precedono l’atto dello scrivere, vi è, su tutte, quella della costruzione dei personaggi. In particolar modo, quella del protagonista. Né più, né meno di quanto fa un attore, ancor prima di imparare a memoria un copione, quando deve costruire un personaggio. In entrambi i casi, come si suole dire in gergo teatrale e cinematografico, occorre entrare nel personaggio. Sbirciare nell’anima del personaggio, catturarne l’essenza. Capire sino in fondo chi è colui la cui storia ci si accinge a raccontare. Trasporre l’applicazione del Metodo Stanislavskij nella costruzione del personaggio di un romanzo, significa lavorare su se stessi. Sulle infinite eterogenee potenzialità espressive che ci connotano come esseri umani. Obiettivo della ricerca introspettiva è riuscire a trovare aspetti della propria personalità che collimino con i tratti caratterizzanti il personaggio da raccontare. Per fare scorrere sangue caldo nelle vene di un personaggio, per renderlo persona a tutti gli effetti, occorre che ogni gesto, ogni sguardo, ogni frase, ogni silenzio abbiano una recondita motivazione.
Quali sono i limiti maggiori che lei scorge in chi oggi vuole dedicarsi alla scrittura?
La difficoltà maggiore è nel riuscire a trasformare una lingua, in linguaggio artistico. Tutti i narratori di una stessa nazione o continente utilizzano la medesima lingua. Pochi, pochissimi, hanno la capacità di trasformare una lingua in linguaggio. Di dare alle parole di una lingua la forza evocativa di un linguaggio che sappia farsi riconoscere e, ancor più importante, che sappia vestire perfettamente una vicenda. Una lingua diventa linguaggio, quindi narrazione degna di letteratura, quando assume in sé il ritmo naturale di una storia. La durezza, l’apatia, la disinvoltura così come il respiro greve di una determinata storia. Il linguaggio letterario è un marchio. La connotazione spazio temporale di quella e di nessun’altra storia. Nessuno dei romanzi scritti da Hemingway avrebbe vinto la sfida del tempo se non fosse stato vestito con un linguaggio appropriato. Un ritmo unico – quasi fosse il battito cardiaco di quella storia – che andasse oltre lo stile dell’autore. Che calzasse perfettamente su ciascuna e nessun’altra delle storie da lui narrate.
È il linguaggio che permette l’aderenza del lettore al romanzo, elemento letterario questo, di gran lunga più importante dell’adesione.
Nel suo volume si evince anche una critica nei confronti del sistema editoriale italiano che persegue sempredi più il fatturato a discapito della pubblicazione di libri di qualità. Quali sono le conseguenze, a suo modo di vedere, di questa esponenziale crescita di libri commerciali che invadono gli scaffali delle librerie?
L’attuale mondo editoriale italiano ha gravissime responsabilità. Ogni anno vengono sfornati quintali di narrativa di puro intrattenimento, senza curarsi di differenziarla dall’ormai rara pubblicazione di romanzi con valore letterario. Si spaccia per arte ciò che viene costruito a tavolino secondo logiche industriali, di per sé a volte necessarie, ma che nulla hanno a che fare con la più autentica e drammatica febbre antropologica alla base di ogni forma di espressione artistica. Trovare nel catalogo di un grande gruppo editoriale, sugli scaffali di una libreria o sulle pagine dei principali quotidiani nazionali i grandi classici e i romanzi della migliore letteratura contemporanea, vicini a romanzetti best seller (alcuni spesso vincitori dei più importanti premi nazionali) instilla, soprattutto nei più giovani, il convincimento che la letteratura sia alla portata di molti. Che per diventare narratori sia sufficiente “indovinare” la storia e scriverla decentemente, meglio se in modo informale, parola, quest’ultima, divenuta oggi sinonimo d’incondizionata qualità.
La letteratura, così come la recitazione secondo il Metodo Stanislavskij – il cui parallelismo accompagna l’intero volume – è, prima di ogni altra cosa, dedizione. Studio, ricerca, esperienza, introspezione, curiosità. Poi c’è il talento, quella scintilla di genialità che fa la differenza.
Ci sono scrittori italiani che lei consiglia vivamente di leggere ai lettori del nostro giornale?
Nel libro si analizzano alcuni bellissimi passaggi letterari di Alessandro Baricco e di Erri De Luca, due autentici maestri dell’arte loro. Si citano altri autori italiani di razza come Aldo Busi, Vincenzo Cerami, Andrea Camilleri. Scrittori capaci di lasciare il segno, di mettere la loro splendida scrittura al servizio di una storia, senza scadere mai in autocompiacimenti ed esercizi di bravura stilistica fini a se stessi. Per il resto, se si vuole rimanere in Italia, credo sia molto meglio fare riferimento al secolo che ci ha da poco lasciato, riprendendo in mano i capolavori senza tempo di Pasolini, Calvino, Gadda, Pavese. Sciascia.