Antonio Debenedetti, Un piccolo grande Novecento

25-10-2005

Sentimentalgia del '900, di Benedetta Centovalli


Si può cominciare da quando bambino giocava con la ghiaia nel giardino di Croce a Sorrento, o si accomodava sulle ginocchia di Saba, o di quando tra il ’46 e il ’47 Caproni lo preparò agli esami di ammissione alla scuola media (Antonino in pantaloni corti, di un’intelligenza già allora caustica che bruciava sulle pagine aperte del sussidiario). O si può cominciare con Fellini incontrato per l’ultima volta in un pomeriggio di settembre del 1990, dopo un temprale, in una strada di Roma pochi giorni prima della morte di Moravia, con quel suo gesto di tirare fuori dal portafoglio una poesia di Pascoli copiata a macchina. O cominciare dalle pagine dedicate a Moravia, “lo scrittore italiano che meglio ha raccontato dall’interno la borghesia così com’era nel Ventennio”, uno dei pochi intellettuali in grado di aprirsi alla cultura europea. Come per Borges o per Ungaretti, anche per Moravia i libri “sono il naturale combustibile della vita proprio come l’aria”. Scrittori contemporanei alla letteratura di tutti i tempi. Possono parlare di Dostoevskij o di Proust come potrebbero parlare dei vicini di casa. La loro conversazione fatta di confidenza e di complicità si traduce in una speciale scuola di lettura, in un’intimità e una vicinanza che valgono da sole secoli di letteratura. Ecco, potremmo continuare a lungo il florilegio delle citazioni da questo libro-conversazione di Antonio Debenedetti con Paolo Di Paolo dal titolo Un piccolo grande Novecento (appena uscito da Manni). Ideale seguito di Giacomino (1994; ora con una Postfazione di Cesare De Michelis, Marsilio 2002), il bellissimo romanzo scritto in memoria del padre – il maggiore critico letterario del secolo scorso -, questo libro in forma di intervista nasce invece in assenza del padre a testimoniare la vocazione irriducibile alla letteratura di uno scrittore che ha imparato a crescere lontano dall’ingombrante ombra paterna. Mezzo secolo e più di incontri dettati da diverse occasioni, predilezioni e amicizie, letture e film, chiacchiere e gossip, antipatie e inimicizie, riviste e salotti, giornalismo e televisione, per un ritratto delle nostre lettere attraverso successive stagioni di storia italiana. Dal fascismo al dopoguerra, dalla Dolce vita al Senza Moravia, l’esaurirsi di un secolo e di una cultura fatta di protagonisti.
Antonio Debenedetti merita di essere annoverato nella schiera dei grandi conversatori, di quell’arte perduta della conversazione che Emilio Cecchi da par suo celebrava, tanto quanto il grande Contini amava a sua volta ricordare. Debenedetti ne è uno dei superstiti esponenti e se come scrittore non può non mettere in carta il suo passato, quello che si perde del piacere impagabile dell’ascolto lo si recupera nella testimonianza scritta sicura e indelebile seppur prosciugata e più contenuta. È una lettura cordiale e densa, distesa nella sua volontà di rendere conto di esperienze altrimenti destinate all’oblio. E la scrittura recupera in modo più evidente il rigore e l’indirizzo radicale di una militanza letteraria che nel tempo è rimasta fedele a sé stessa, intransigente. Per questo il ricordo di Bassani è esemplare, Debenedetti racconta che quando Bassani leggeva uno scritto era implacabile nel suo silenzio gravido di risposte (“Era la virgola che, collocata a senso, denunciava clamorosamente la tua imperizia?”), e Bassani diventava lo specchio dei difetti naturali e di quelli che al contrario dei primi, “non ammettono perdono perché nascono dal poco rispetto di sé o della letteratura”. Come un rabbi, un maestro ebreo, sapeva metterti con le spalle al muro.
E intanto scorrono le figure – oggi dimenticate – del generoso Niccolò Gallo, della sofisticata Gianna Manzini, del sublime Giorgio Vigolo o del freddoloso Vincenzo Cardarelli insieme a Elsa Morante, Sandro Penna, Mario Soldati, Natalia Ginzburg (con cui Debenedetti condivide l’essere ebreo e cattolico allo stesso tempo), Carlo Levi, Giorgio Manganelli (“Questo intellettuale assoluto, questo collezionista di avverbi, questo delibatore di sostantivi che affronta il vento della discesa”), a Parise e La Capria. Medaglioni e battute, episodi e lampi d’ironia, in una teoria di personaggi che si sono dati tutti immancabile appuntamento sotto i cieli tersi o plumbei di Roma.