Bifo, La sollevazione

12-11-2011

Il futuro dopo la fine dell'economia, di Franco Berardi Bifo

La scienza economica non è una scienza
Alla fine dell'estate 2011 sui giornali economici si parla molto di un doppio tuffo (double dip). Gli economisti dicono che ci sarà una nuova recessione prima che ci sia una ripresa. Penso che sbaglino. Ci sarà una recessione, su questo siamo d'accordo, ma non ci sarà più nessuna ripresa, se ripresa significa un nuovo processo di crescita. Questo non si può dire in pubblico, altrimenti i politici e gli economisti ti trattano come un traditore, un sabotatore, un predicatore di disgrazie, un maleducato. Ma il problema è che gli economisti non sono sapienti, e non li considero neppure degli scienziati. Assomigliano piuttosto ai preti: denunciano le cattive abitudini della società, chiedono pentimento per il debito, minacciano inflazione e miseria per i peccatori, adorano i dogmi della crescita e della competizione. E' difficile credere che esista davvero una scienza economica. Cos'è una scienza? Senza imbarcarmi in difficili discussioni epistemologiche potrei dire che la scienza è una forma di conoscenza libera da dogmi, che è in grado di estrapolare leggi generali dall'osservazione dei fenomeni empirici, e conseguentemente è in grado di prevedere qualcosa su quel che accadrà in futuro, e infine è capace di capire quel tipo di mutamenti che Thomas Kuhn ha chiamato passaggi di paradigma. Per quanto ne so quel tipo di discorso che viene denominato "economia" non corrisponde a questa definizione. Prima di tutto gli economisti sono fissati con delle nozioni dogmatiche come crescita, competizione, prodotto nazionale lordo e così via, e dicono che la realtà sociale non funziona se per caso non corrisponde a questi loro criteri. In secondo luogo sono del tutto incapaci di trarre leggi dall'osservazione della realtà, dato che vogliono assolutamente che la realtà si armonizzi con quelle che per loro sono leggi economiche. Di conseguenza sono incapaci di prevedere qualsiasi cosa, come l'esperienza ha mostrato negli ultimi tre o quattro anni. Infine, non possono capire quel che accade quando il paradigma sociale sta cambiando e quando il loro contesto di riferimento concettuale dovrebbe essere ridefinito. Nelle facoltà di Economia e nelle scuole di business non si insegna e non si impara qualcosa che merita il nome di conoscenza scientifica e concettualizza un campo specifico della realtà come fanno la Fisica, la Chimica, o l'Astronomia. Si studia e si impara piuttosto una tecnologia, un insieme di strumenti, procedure, protocolli pragmatici che sono finalizzati a costringere la realtà sociale entro prospettive di pratica finalità: profitto, accumulazione, potere. La realtà economica non esiste, è il risultato di un processo di modellazione tecnica, di sottomissione e sfruttamento. Il discorso teorico che sostiene la tecnologia economica può essere definito come una ideologia, nel senso proposto da Marx, che non era un economista, ma un critico dell'economia politica. L'ideologia in effetti è una tecnologia finalizzata a sostenere specifici obiettivi politici ed economici. Non ho nulla contro la tecnologia, sia ben chiaro, neppure contro la tecnologia economica. Ma penso che come tutte le tecnologie non sia autoriflessiva, e quindi sia incapace di sviluppare un'autovalutazione teorica e di conseguenza non sia in grado di ridefinirsi in funzione dei passaggi di paradigma.

Deterritorializzazione finanziaria e precarietà del lavoro
Lo sviluppo delle forze produttive, la creazione della rete globale del lavoro cognitivo, che nel cosiddetto Frammento sulle macchine Marx definisce general intellect, ha provocato un enorme aumento di potenza produttiva del lavoro. Questa potenza non può essere semiotizzata, organizzata e contenuta dalla forma sociale del capitalismo. Il capitalismo non è più in grado di semiotizzare e organizzare la potenza sociale della produttività cognitiva, perché il valore non può più essere definito in termini di tempo socialmente necessario, per cui le vecchie forme della proprietà privata e del salario non sono più in grado di semiotizzare e organizzare l'esistenza deterritorializzata del capitale e del lavoro sociale. Gli economisti sono totalmente disorientati da questa trasformazione, poiché la loro conoscenza si è strutturata secondo il paradigma del capitalismo borghese: accumulazione lineare, misurabilità del valore, appropriazione privata di plusvalore. Il passaggio della forma industriale di produzione alla forma semiotica della produzione, il passaggio dal lavoro fisico al lavoro cognitivo ha proiettato il capitalismo fuori di sé, fuori dalla sua coscienza ideologica. La borghesia, che era una classe territorializzata (la classe del borgo, della città) sapeva gestire una proprietà fisica, e la relazione misurabile tra tempo e valore. La completa finanziarizzazione del capitale segna la fine della vecchia borghesia e la proliferazione de territorializzata e rizomatica delle relazioni di potere economico. La vecchia borghesia non esiste più, o comunque non ha più potere, sostituita da una classe virtuale proliferante (un pulviscolo sociale de territorializzato e polverizzato, piuttosto che un gruppo territorializzato di persone identificabili) che definiamo abitualmente come "mercati finanziari". Il lavoro subisce un processo parallelo di polverizzazione e deterritorializzazione che si chiama precarietà. La precarizzazione non è solo la perdita del lavoro fisso e l'incertezza del salario, ma anche un effetto di frammentazione e polverizzazione del lavoro, oltre che la frattura del rapporto tra lavoratore e territorio. Il lavoro cognitivo, in effetti, non ha più bisogno di essere legato a un luogo, e la sua attività può essere diffusa attraverso un territorio non fisico. Le categorie economiche (salario, proprietà privata, crescita lineare) non hanno più senso in questa nuova situazione. La produttività dell'intelletto generale, in termini di valore d'uso (di produzione di beni semiotici utili) è virtualmente infinita. E allora, come si può valutare il lavoro semiotico i cui prodotti sono immateriali? Come si può stabilire la relazione tra lavoro e salario? Come possiamo misurare il valore in termini di tempo, dato che la produttività del lavoro cognitivo (creativo, affettivo, linguistico) non può essere quantificata e standardizzata?