Claudio Brancaleoni, Il giorno dell'impazienza

11-02-2010
Sanguineti e Balestrini oltre i percorsi della neoavanguardia, di Gian Maria Annovi

La resistenza a metabolizzare definitivamente la neoavanguardia nella cultura italiana non è solo ideologica, ma sta anche nell'incapacità di considerare gli autori che ne hanno fatto parte al di fuori di quell'etichetta ormai ingiallita. La realtà è che l'esperienza del Gruppo 63 ha ospitato figure disparate, le cui strade - nella maggior parte dei casi - si sono nel tempo allontanate da quel comune punto d'origine. Ne sono un esempio due autori come Edoardo Sanguineti e Nanni Balestrini, della cui storia, che va ben oltre i confini della neoavanguardia e continua tutt'oggi, rendono conto in maniera intelligente due recentissimi volumi di Gilda Policastro e Claudio Brancaleoni.
Uscito nella collana di profili letterari curata da Romano Luperini per l'editore Palumbo, il volume di Gilda Policastro su Sanguineti è una sintetica ma penetrante introduzione all'opera di questo autore, già capofila poetico e teorico del Gruppo 63, e si divide in due parti, una dedicata all'analisi dell'opera sanguinetiana e della sua ricezione, l'altra a una selezionata bibliografia e a un'antologia della critica con sorpresa: tra i brani antologizzati va infatti segnalato uno straordinario inedito di Giacomo Debenedetti su Capriccio italiano, il semi-felice romanzo sanguinetiano del 1963, che Debenedetti interpreta - genialmente - come romanzo sulla gestazione di un romanzo, ricollegandolo al motivo antropologico del parto maschile. Il merito della studiosa non sta però solo nell'aver recuperato questo frammento, ma piuttosto nell'aver fatto il punto sulla produzione complessiva di Sanguineti, non tralasciando di occuparsi della saggistica, del teatro, delle traduzioni. Convince in particolare la sua proposta di individuare nella discesa infernale il tema guida del corpus sanguinetiano a partire da Laborintus (1956), la sua prima raccolta poetica, passando per Commedia dell'Inferno, travestimento teatrale dell'89 che l'autrice rilegge come un saggio sul comico medievale. A dire il vero, a vederlo così ordinatamente schedato, Sanguineti appare tutt'altro che infernale, e d'altra parte è la stessa autrice a vedere la sua opera poetica degli ultimi trent'anni nell'ottica del continuum più che della rottura.
Diverso il caso del Giorno dell'impazienza, dove Claudio Brancaleoni non solo ripercorre la carriera letteraria di Balestrini, iniziata negli anni '50, ma traccia in parallelo anche il profilo della sua attività politica. Pur soffermandosi sulla sua poesia, che dal «grado zero» degli esordi si è fatta via via più comunicativa, fino a giungere al canto civile di Elettra (2001), appare chiaro che Brancaleoni si sente più stimolato quando discute la narrativa di Balestrini alla luce della categoria, che usa in maniera militante, di realismo-epico. D'altronde, a parlare di epica era stato Balestrini stesso, a proposito del suo secondo romanzo, Vogliamo tutto (1971), brillante tentativo di ripercorrere le complesse vicende del '68 e definito da Aldo Nove «rivolta in atto e riflessione sulla rivolta», per via del totale stravolgimento di molti meccanismi del racconto tradizionale. La presenza qui, e nei romanzi successivi, di una voce narrante collettiva, che parla dunque del destino non dell'individuo ma di una comunità, quella di chi ha partecipato ai movimenti degli ultimi quarant'anni, è per Brancaleoni il segno che ci si trova di fronte a un tentativo di resistenza al concetto postmoderno di fine della storia e che Balestrini - instancabile nell'opera di promozione culturale e ricerca di contatto con le generazioni più giovani - è ancora un irriducibile affamato d'utopia.