Davide Gatto, Il male minore

20-05-2011

Intervista, di Angelo Sconosciuto

«Sette situazioni esistenziali sono il canovaccio di sette racconti che, in un itinerario circolare, documentano il vivere come militanza, battaglia, resistenza. Con un invito non celato all’azione, all’impegno civile», si legge nella quarta di copertina; ma perchè, dunque, ci sono San Giorgio e il drago sulla copertina?
Il tema di fondo del libro, comune a tutti i racconti, è il rapporto dell’individuo con il mondo, con l’altro da sé.Viviamo oggi tempi di profonda divaricazione tra morale individuale e realtà, come se la storia procedesse ingovernabile lungo binari di progressiva degenerazione e di distruzione – e qui penso alle incombenti catastrofi ecologiche, alla crisi delle democrazie, alle solitudini post-industriali, alla condanna alla miseria che un quarto del pianeta infligge agli altri tre quarti, e a molto altro ancora. Percepiamo il male, questo male, come ineluttabile. La dissociazione profonda tra il nostro mondo morale e la realtà ci porta a diffidare del senso delle cose, come se esse rispondessero a logiche proprie irriducibili alle nostre pretese definitorie, valoriali. La rassegnazione e l’inerzia conseguenti sono il punto di partenza del libro. Ma io volevo disegnare una traiettoria di uscita dal nichilismo, dalla rassegnazione al male. L’ultimo racconto infatti perviene a un nuovo fondamento morale dell’azione: se il male non può essere sconfitto, il senso principe dell’esistenza è combatterlo per arginarlo, sempre, ogni giorno, ogni istante. Insomma, non si lotta per vincere, ma per resistere: vivere è resistere al male invincibile. Bene, l’emblema di questa lotta nel racconto è San Michele, il santo guerriero di Monte sant’Angelo. Se ho scelto per la copertina questo bel dipinto di Mimmo Camassa, giovane e bravo artista pugliese, nonostante il soggetto sia San Giorgio e a dispetto di concorrenti come Paolo Uccello e Raffaello, è perché qui il drago, il simbolo biblico del male, appare ferocemente combattivo, tutt’altro che sconfitto.

Ma c'è un filo che lega questi racconti a quel dibattito su "Letteratura... è resistenza. Della Resistenza italiana ovvero della militanza dell'ideale", che l'ha vista protagonista il 18 dicembre 2008 a Francavilla, in occasione della Settimana della cultura?
Il legame c’è ed è molto forte, tanto che nell’ultimo racconto, intitolato “La morte bisogna meritarsela”, il principio morale della vita come resistenza militante al male viene fissato nella rievocazione-riflessione di un episodio della nostra post- Resistenza storica: il ritorno alle armi e alla montagna di un gruppo di ex partigiani a Santa Libera, in provincia di Cuneo, nell’agosto del 1946, a Repubblica ormai fondata, convinti che il cancro fascista fosse tutt’altro che sconfitto. La strisciante corrosione dei pilastri della nostra repubblica e della nostra democrazia, e l’idea del Presidente Napolitano che la democrazia va costruita e difesa ogni giorno, sono forse un indizio della validità del mio assunto. Armi escluse, naturalmente.
 
San Paolo, nella lettera ai Romani esorta: «Non facciamo il male perchè ne venga un bene». A quasi venti secoli da queste parole...
L’etica cristiana continua a esercitare su me, che pure mi dichiaro agnostico, una forte fascinazione. Secondo una prospettiva laica, d’altra parte, il cristianesimo è stato solo una delle filosofie morali edificate sulla pace e sulla tolleranza: quella di maggior successo. Credo ancora valida e possibile l’esortazione di San Paolo, a condizione che non si consideri “male” anche la lotta aspra e ultimativa contro chi è nemico della pace e della tolleranza : un moderatismo fuorviante che la Chiesa conosce bene.

Il titolo del suo libro è, pari pari, quello di una raccolta di due soli saggi di Eyal Weizman, nei quali l'autore, interrogandosi sul fatto che la politica sia giunta alla giustificazione della violenza tra stati ed alla sua proliferazione, «suggerisce la possibilità che il male minore costituisca il nuovo nome della nostra barbarie». Guardando al nostro vivere quotidiano, cos'è nuova barbarie e quale impegno civile?
Non conosco il libro di Weizman. Interpreto liberamente la citazione che lei fa come una critica alla logica dell’accomodamento, della mediazione senza anima, e in questo sono d’accordo. Aggiungerei che la nuova barbarie è il desiderio perverso di distinguersi a tutti i costi, tranciando i legami con la nostra storia nobile; è il culto del nuovo senza criterio e senza memoria. Abbiamo una storia lunga alle spalle, che basta a mio avviso a guidare in modo virtuoso la nostra condotta individuale e sociale. L’impegno civile – lo dirò in estrema sintesi – è senso di appartenenza e responsabilità.