Franca Bellucci, Mare d'amare donne

06-06-2016

Una luce unificante, di Liviana Gazzetta

Per me è stata una vera scoperta, questo libro. Conosco da qualche tempo l’autrice (grazie ad uno di quegli <onesti incontri> di cui parla lei stessa nel volume), ma sotto ben altra veste: docente di lettere classiche, storica delle donne, appassionata di didattica. Scopro ora qui, in Mare d’amare donne. Rapsodia –recentemente pubblicato per i tipi di Manni- un centro d’interesse inatteso e vitale di Franca Bellucci, l’autrice di questo poemetto.

E direi che da questo lavoro poetico il suo modo di stare al mondo si illumina di una luce unificatrice. Perché qui, nel trascorrere dell’emozione in penetranti versi liberi troviamo tanta parte della vita di Franca Bellucci: la passione civile, l’amore ‘atavico’ per la cultura del mondo antico, il femminismo discreto. Meraviglia, quindi, ma non stupisce pensare come da tutto questo sgorghi l’intuizione poetica, cesellata dalla lunga frequentazione dei classici.

Mare d’amare donne è un poema rapsodico composto da quattro parti e un epilogo; ciascuna parte è preceduta da qualche glossa essenziale per inquadrare il contesto e il profilo delle voci narranti e degli altri personaggi, quasi il teatro della narrazione poetica.

Le parti sono tra loro nettamente distinte ma unite dal tema comune, che sintetizzerei così: quel <Mare di Affacci> che da sempre è il Mediterraneo è anche luogo di attese femminili di libertà, intrecciate alla più grande domanda di liberazione che i <naufragi infiniti> del mare testimoniano. Le quattro sezioni si sviluppano tra un prologo datato novembre 2008 e un ‘capitolo finale’ che ritorna al 2008 denominandosi <Ponti di rete. L’attuale in sei quadri>. L’evento ispiratore, infatti, è un noto fatto di cronaca: l’agguato camorristico a Castel Volturno avvenuto il 18 settembre 2008, in cui le cosche rivali locali uccisero sei immigrati africani innocenti, già vittime di uno sfruttamento senza regole e prospettive.

Il percorso tracciato da Bellucci attraverso il mare nostrum lo fa apparire, inevitabilmente, anche come mare amaro, che fin dall’antichità vede, oltre agli intrecci di relazioni, scambi, traffici, anche una lunga serie di guerre, violenze e <organizzati soprusi>. Nella sua ‘infinita’ storia questo mare restituisce le figure di un’operaia cretese e di una schiava greca –per restare nel mondo antico-, e poi quella di Eloisa, che apre una breccia verso l’Occidente medievale di cui siamo figli. Ed è davvero affascinante, la lettura di questo personaggio proposta dai versi di Bellucci: letterata, filosofa, religiosa, Eloisa sa custodire il segreto del <conosci te stesso> finalmente declinato al femminile. Proprio a lei nel poema è affidata la definizione della natura delle donne con cui da sempre il femminismo occidentale fa i conti:

<Non si accordano i dotti a dare il senso

Alla parola ‘donna’, se prescindono

Dal generare.>

Da ultimo si delinea come profilo femminile chiave quello di Miriam Makeba, che proprio a Castel Volturno morì nel novembre del 2008, dopo aver voluto partecipare -con nel cuore la <nostalgia infinita> della morte della figlia- alla manifestazione di protesta e commemorazione per quelle morti.

Nel <mare amaro> della schiavitù antica e del neoschiavismo contemporaneo alle donne è dato di portare il segno della contraddizione: simbolo dei diseredati che costruiscono passo dopo passo spazi di libertà, scontrandosi con un mitico <capitan Lambro>, preso ad emblema della cultura e del potere patriarcale: <Non tornerai stasera,// capitan Lambro già esperto d’approdi,// di malaffare, di gesti sicuri, di protezioni effimere alle donne>, dice l’autrice nell’epilogo, sicura che le donne <come piante pioniere attendono fioritura onorata>.