Franco Colizzi, L'aggiustatore di destini

15-08-2015

Intervista, di Paola Loparco

1. Cosa ha inteso proporre con un titolo così intrigante?
L'essere umano, pur avendo una vita fortemente condizionata da fattori biologici, psicologici, culturali e sociali, gode di un certo margine di libertà. Tuttavia, spesso la vita di una persona sembra essere preda di una sorta di determinismo, a volte francamente maligno. Essa viene allora a configurarsi, specie nel fondo oscuro del senso comune, secondo l'immaginario del Destino (filato mitologicamente dalle Moire o Parche), un prodotto di molteplici circostanze ineluttabili e non più modificabili. Ma quando, come nella prima storia del romanzo, il 'destino' bussa alla porta, risuonando imperiosamente al pari delle quattro note iniziali della Quinta Sinfonia di Beethoven, e si mostra 'cinico e baro', imbrigliando la vita nel dolore, nella confusione e nella disperazione, si può cercare di reagire, di contrastarlo, di raddrizzarlo, di renderlo almeno un po' più giusto restituendogli senso?

2. Il titolo contiene dunque una domanda. Ma sembra proporre anche una risposta.
E' proprio così. A questa domanda radicale, il dottor Giovanni Nilo, un giovane psichiatra psicoterapeuta di 44 anni, nato nel 1960 a Lecce, ma di madre ostunese, risponde con forza, appassionatamente, testardamente sì. Anzi, poter aggiustare i destini è un suo potente mito personale, un dàimon, come lo avrebbe chiamato lo psicoanalista junghiano Hillman. Del resto, in letteratura era già successo a Jules Maigret, il famoso commissario di Simenon, che prima di lavorare nella Suretè si era iscritto a Medicina, proprio mosso da questa profonda motivazione, poi non abbandonata ma trasfusa in un umanissimo approccio investigativo e criminologico.

3. Più volte, leggendo le storie che si intrecciano nel romanzo, risuona il concetto di persona, nell'impegno del dottor Nilo ad accompagnare i pazienti nel loro percorso per diventare persone. E' un aspetto importante della psicoterapia?
Assolutamente, di ogni tipo di psicoterapia che voglia dirsi tale. Il dottor Nilo crede profondamente nella dignità immensa della persona umana, assumendo la visione del filosofo italiano della nonviolenza, Aldo

 

Capitini, secondo cui la persona umana è apertura infinita. Per questo il terapeuta arriva a porsi, coltivando l'empatia e correndo qualche rischio personale, nell'atteggiamento metamorfico di cui parla Elias Canetti nell'esergo del romanzo.

4. Il romanzo ha un prologo. E' un racconto di formazione del protagonista?
Effettivamente, la prima storia del romanzo è la 'prima avventura', imprevista, del dottor Nilo, medico ma ancora specializzando in psichiatria. Un tentativo di suicidio alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, di una donna, Adele, la cui salvezza si deve non solo al medico ma a una piccola rete d'aiuto. L'apertura sinfonica, infatti, intende dire questo: che il singolo non va mai lasciato solo nella sua impari lotta, che nei confronti della catena ferrea del destino, indifferente al dolore umano, occorre creare, come già aveva ben compreso Leopardi, una controcatena terapeutica. I vicini di casa, il fratello – per quanto debole – il giovane medico, i servizi sanitari e, appena possibile, la stessa persona sofferente.

5. La parte centrale, molto ampia, “Femminile plurale”, narra varie vicende di donne e si svolge molto più avanti nel tempo.
Sì, c'è un salto temporale di circa quindici anni che ci porta nel 2004 e il romanzo racconta sostanzialmente tre mesi della vita professionale e anche privata del dottor Nilo, cioè l'estate da giugno a settembre, nella quale si svolgono anche una breve vacanza di Nilo in Sardegna e un viaggio di Emma – la sua compagna – in Nepal. Tutte occasioni di riflessione e di meditazione. Tra Cechov, Dostoevskij, Kafka e vari altri richiami letterari, fluiscono spunti meditativi sul sacro, sulla fragilità umana, sulla possibilità/necessità di riconoscere quanto – nella vita degli umani – non è Inferno, secondo un suggerimento di Italo Calvino, per custodirlo e farlo durare.

6. La storia centrale, molto forte emotivamente, è quella di Lucia…
In questa dura psicoterapia torna a risuonare, per il dottor Nilo, la prima lezione appresa nel prologo, in una evoluzione positiva della tremenda condizione di Lucia, dove si arriva a riprodurre, purtroppo tardivamente, una controcatena terapeutica e solidale. Ma lo psichiatra è anche atteso da una nuova lezione. Trovarsi faccia a faccia con una

 

storia di abuso sessuale infantile – e ne ho conosciuto diverse – significa per il dottor Nilo anche confrontarsi con il proprio essere maschio, con una storia millenaria di sopruso del genere maschile su quello femminile.

7. Nel romanzo ci sono molti luoghi, dal Nepal alla Sardegna, ma soprattutto la Puglia. E' una scelta affettiva?
Il contesto base dell'operare del dottor Nilo è il Salento, con i suoi luoghi naturali, archeologici, storici, da Giurdignano a Lecce a Ostuni all'Adriatico, luoghi costitutivi dell'identità personale, prima ancora che professionale, del dottor Nilo. Sono i luoghi in cui sono nato e cresciuto, in cui vivo, ma sono anche territori disegnati dal mare, dal cielo, dagli uliveti e dai vigneti, dai borghi in cui il tempo è rappreso: qui mente e natura trovano non solo il loro equilibrio, ma si identificano. E' un invito chiaro e forte, per il lettore, a scoprire fino in fondo questa “penisola nella penisola”.