Giacomo Leopardi, Il gallo silvestre

29-11-2010

Gli animali del poeta Leopardi, di Antonio Errico

Non finisce mai di scavare nella miniera dell’oro dell’opera di Giacomo Leopardi, Antonio Prete. Con una passione sempre accesa, con una curiosità sempre nuova, quasi coinvolto da un richiamo profondo. Leopardi non è solo in tutti i suoi libri: è nello sguardo che Prete rivolge alla natura, nella riflessione sui fenomeni dell’esistenza; entra in ogni suo pensiero e si traduce in parola detta, parola scritta. Non c’è pagina che non lo seduca; non c’è verso, non c’è riga. A distanza di anni ritorna ad indagare la sua visione complessiva oppure un particolare. Come fa ora con un’antologia di scritti leopardiani sugli animali, tratti da varie opere e introdotti dallo stesso Prete e Alessandra Aloisi, che ne hanno anche condiviso la cura. L’antologia edita da Manni e intitolata Il gallo silvestre e altri animali con illustrazioni di Mario Persico e due disegni del gigante di Recanati, rintraccia e sistematizza la presenza dell’animale nella scrittura di Leopardi.
Trent’anni fa Prete concludeva quel suo libro fondamentale su Leopardi che Il pensiero poetante con un saggio che aveva per titolo La traccia animale. Questa antologia affonda le radici in quel saggio e nella convinzione che “anche attraverso lo sguardo animale la poesia si interroga sul mondo, sull’esistenza individuale e universale, sull’appartenenza alla terra. E a una vita che è pulsazione, respiro, forma della natura”.
Ecco, probabilmente è questo che ha interessato e motivato i curatori dell’antologia.
Sono ovviamente presenti i testi in cui Leopardi affronta la questione dell’anima delle bestie. Il giovanissimo Giacomo sosteneva che anche gli animali hanno un’anima, cioè essere capaci di conoscere e di scegliere. Poi nello Zibaldone, come annota l’Aloisi, preciserà che la loro libertà è tutt’uno con l’istinto, vale a dire “con quel sistema di credenze relative al buono e al cattivo che determinano necessariamente ogni essere vivente all’azione”.
Come si ricorda nell’introduzione ad una sezione dell’antologia, nell’abbozzo del Dialogo di un cavallo e un bue, gli animali parlano dell’uomo come di una specie ormai estinta di cui resta solo una vaga rimembranza, dovuta peraltro agli aspetti peggiori, alle degenerazioni dei suoi comportamenti e della sua natura. L’incapacità di essere felice, la sottomissione e lo sfruttamento degli altri animali, l’ambizione, la guerra, il denaro, il suicidio, la tirannia.
Nell’epoca leopardiana, sostiene Alessandra Aloisi, lo spostamento del punto di vista dal mondo umano a quello animale, lo sforzo di guardare le cose e i fenomeni con occhi non-umani, assume, oltre che una funzione critico-negativa anche una decisiva portata conoscitiva “perché consente di intravedere una realtà prima insospettata, una realtà in cui il bello e il brutto, il buono e il cattivo, la perfezione e l’imperfezione” si caricano di una valenza semantica completamente diversa.
Ora, questo punto di vista “altro” è una osservazione straniante e corrosiva del mondo umano. Leopardi mette in scena una parodia che a volte si rivela spietata, a volte diventa occasione per un confronto critico con le supponenti certezze degli uomini con le loro espressioni di violenza e di brutalità.
Per Leopardi tra l’uomo e l’animale corre una differenza di grado non di natura, accidentale e non necessaria. Ecco, allora, che nemmeno la facoltà del linguaggio costituisce una dimostrazione di superiorità o di perfezione raggiunta.
Seguendo il discorso che la perfezione è sempre relativa alla specie che viene presa in considerazione, nello Zibaldone sosteneva che solo l’uomo “è per natura così lontano dallo stato che gli conviene, che più, quasi, non potrebb’essere, e quindi laddove tutte l’altre cose sono in natura perfettissime, l’uomo è in natura imperfettissimo. Pertanto la specie umana lungi da essere la prima in natura, è anzi l’ultima di tutte le specie conosciute”.
Insomma: c’è un po’ da meditare su certe opinioni di antropocentrismo.