Giacomo Leopardi, Il gallo silvestre

01-03-2012

Una vitalità armoniosa, di Bruno Nacci

Originale e piacevole anche nell’impaginazione, con le illustrazioni di Mario Persico e due disegni di Leopardi, questo repertorio antologico degli animali nell’opera poetica e nel pensiero di Leopardi prosegue e integra lo studio di Antonio Prete del 1980, corredando le singole sezioni delle pertinenti osservazioni di Alessandra Aloisi. Come ricorda nell’introduzione lo stesso Prete, l’animale svolge nel pensiero leopardiano l’importante funzione di nesso tra natura e storia, o meglio di passaggio tra una e l’altra, l’anello debole di un processo lungo il quale la civiltà tenta di rimuovere l’affinità e continuità tra il mondo animale e quello umano, cancellando dall’uno la sua appartenenza alla sfera della vita psichica, dall’altro la sua deforme e malata arroganza. Leopardi, che arriva per questa strada a capovolgere i termini del naturalismo di Buffon o della rigida e insensata separazione cartesiana tra le due forme di vita, descrivendo la condizione animale come alternativa positiva se non addirittura come modello per la civiltà, «coglie nello stare animale un accordo profondo del corpo vivente con il vivente della natura» (p. 11). Al fondo dell’innocenza animale Leopardi insegue, osserva Prete, l’aspirazione a una vitalità più libera e armoniosa: «il verso del Canto notturno “Forse s’avvess’io l’ale” può servire da emblema per questo balzo del pensiero leopardiano verso l’immaginazione di una corporeità libera e festosa, verso l’immaginazione di quella letizia di cui gli uccelli col loro volo e col loro canto sembrano portare “significazione”» (p. 12). Seguendo questa direzione «antiumanistica», che scorge e denuncia con lucidità le pretese antropocentriche di fissare un’unica scala ascendente al cui culmine porre la società umana, Leopardi approda a una visione cosmologica dove tutto assume un valore diverso, quel «giardino della sofferenza» in cui, come contraccolpo estetico «è ribaltata ogni pastorale. Deflagra ogni arcadia» (p. 15). Il saggio raccoglie i testi leopardiani, sia in prosa che in versi, suddividendoli per tematiche. Ogni capitolo è dedicato a una tematica ed è preceduto da una introduzione di Alessandra Aloisi che ne spiega l’idea guida commentandone gli aspetti salienti. Nel primo, intitolato La favola, sono riuniti i componimenti giovanili di Leopardi, traduzioni, rifacimenti o versificazioni originali, che mostrano il suo precoce interesse per un genere spesso volto a intenzioni gnomiche o moraleggianti, che egli interpreta con «una certa vena ribelle e beffarda» (p. 19). In Bestiario fantastico campeggiano gli animali della tradizione biblica o mitologico-letteraria, colti con lo spirito demistificatorio nel Saggio sopra gli errori popolari degli antichi o reinventati come nella potente metafora del Gallo silvestre. La sezione Vita degli animali prende in considerazione una specie di fenomenologia del mondo animale visto da Leopardi, soprattutto nella Dissertazione sopra l’anima delle bestie e nello Zibaldone, nella sua positiva dimensione di capacità di discernimento e di vita associata: «Invece di essere l’emblema di un ipotetico stato di natura dominato dalla violenza e dalla sopraffazione, il mondo animale diventa l’esempio più significativo di società perfetta, da contrapporre all’imperfezione costitutiva della società umana, l’unica che conosca la guerra e lo spirito di vendetta» (p. 50). Nel capitolo Forse s’avess’io l’ale, incentrato in gran parte sull’Elogio degli uccelli, prose e poesie alludono a un’etica del volo, inteso come sopraelevazione e distacco ma anche «figura di quella smemoratezza e di quell’oblio che rende gli animali liberi dal tarlo del pentimento così come dall’angoscia del futuro» (p. 99). I testi presentati nel Punto di vista animale e parodia dell’umano mettono a fuoco l’uso critico e non di rado parodistico che Leopardi fa del mondo animale per «guardare le cose con occhi non-umani» (p. 117), e hanno nei Paralipomeni della Batracomiomachia il loro apice al tempo stesso satirico e tragico. Chiude il libro la sezione Il rapporto uomo-animale, incentrato «sulla violenza e sulla brutalità che caratterizzano abitualmente il rapporto dell’uomo con l’animale» (p. 147), sopraffazione che dovrebbe, più saggiamente, lasciare il campo alla compassione, per altro non estranea agli animali, come riconoscimento di un unico e comune destino: «quella condivisione della sofferenza che unisce tutti gli esseri senzienti; per questo essa non mancherà di sconfinare al di là del regno animale per includere anche quello vegetale, per diventare, nella nota pagina del giardino della souffrance e poi anche nella Ginestra, la solidarietà di tutti gli esseri di fronte all’indifferenza della natura» (p. 148)