Giorgio Caproni, Amore, com’è ferito il secolo

02-08-2007
Caproni, poesie per Rina, di Stefano Verdino
 
C’è una famosa poesia di Brecht in cui il lettore operaio si interroga sulla storia e si chiede la sorte della moltitudine umana che ha prodotto capolavori o subito rovina, al di là degli illustri protagonisti. Una domanda affine si può rivolgere anche ai grandi artisti e ai grandi scrittori. Loro sono appunto”grandi”, ma la loro grandezza è solo merito loro? O qualcuno, discretamente, ha cooperato a tale esito?
Nel Novecento il discorso è assai ricco in merito: non è una leggenda che la moglie Viv sia stata più che una collaboratrice della poesia di Eliot; in Italia ne sappiamo abbastanza in merito alle donne montaliane o a quelle di Pavese. Sappiamo anche che da noi la figura della moglie spesso non goda di una peculiare fortuna in poesia, a partire da lontano, da Beatrice e Laura.
Una delle poche eccezioni, nel nostro Novecento, accanto alla Lina di Umberto Saba, è costituito dalla Rina di Giorgio Caproni, ovvero Rosa Dettagliata, domesticamente (e poeticamente) detta Rina, nata a Loco di Rovegno nel 1916. La giovane e assai bella Rina (a giudicare da antiche foto) sposò il giovane maestro Giorgio Caproni nell’estate di quasi settant’anni fa, nelle sua Val Trebbia. Il loro sodalizio durò più di cinquant’anni e non è certo retorica dire che Rina costituì sempre un perno essenziale per la poesia del suo Giorgio.
Chi conosce la poesia di Caproni lo sa bene, ma l’opportunità, generosamente accordatami dai figli Mauro e Silvana, di pubblicare alcune lettere domestiche accanto alle poesie dedicate in una vita alla sua sposa me ne ha ampiamente confermato lo spicco, potendo osservare anche la vera voce e scrittura di Rina: una scrittura semplice e netta, tutta cose, all’insegna del comune risparmio, nei tempi durissimi dell’immediato dopoguerra, ma anche ritta di un trepido e appena sussurrato affetto tra i due Grilli, come si nominavano nel loro intimo lessico i due sposi.
La figura femminile è molto importante nella poesia di Caproni, proprio la moglie e la madre sono, come in un contrappunto, protagoniste della più nota e popolare poesia di Caproni, L’ascensore; in quella poesia, così schietta, Caproni non si nasconde di essere cattivo“ con la moglie, di lasciarla a terra, mentre intende approdare al suo personale paradiso di Castelletto. Nel tempo l’importanza poetica di Rina sia cresciuta fino a diventare negli ultimi, spesso spettrali e desolati testi il vero e proprio cardine domestico della propria speranza altrimenti impossibile.