Maria Corti, La leggenda di domani

31-05-2007

31/05/2007 - La provincia pavese
La leggenda nel Salento, di Lucrezia Semenza

01/06/2007 - Qui Salento
Il Sud da fiaba, di Eleonora Carriero

“È finita da un po’ la notte, ma al mare è rimasto un sonno pesante […] sotto, mille alghe in muto fervore si allacciano, si slacciano, si asserpano fra gli scogli; se filtrasse un raggio di sole in quel bosco svincolato, spunterebbe dal fondo una fiaba”. Cosi nasce La leggenda di domani di Maria Corti: come una fiaba spuntata dal fondo del mare, in quel tratto di costa tra Otranto e Santa Maria di Leuca.
Lo sguardo della scrittrice, poco più che trentenne, ha illuminato questa terra e l’ha fatta cantare, creando per lei una leggenda. Realtà e mito si intrecciano e si confondono nelle vicende di Paola, giovane orfana fuggita da un convento e accolta da una famiglia di pescatori alla Masseria di San Damiano.
Paola entra a far parte di una vita lontana “come il cielo” da tutto ciò che fino ad ora ha conosciuto: è il mondo di mastro Oronzo e di Assunta, degli scogli, del mare e dei pesci, della terra, dei capperi e degli ulivi. Qui lei può sentire davvero di camminare “tra gli dei”, in una terra in cui “[…] ogni uomo è imparentato lontanamente con riti misteriosi e appassionati”. Accade infatti che gli uomini partecipino della natura delle piante, degli animali, dei minerali e che la natura possa esprimersi con sentimenti umani. Paola “è comparsa dalla terra d’improvviso, come un asparago”; i bambini “scompaiono tutti come lucertole”; mastro Oronzo, nella continuità e ciclicità dei suoi gesti, trova la certezza che “la sua razza discenda da un minerale”.
Il cielo livido “assomiglia ad un’insidia”, la montagna rocciosa è “ferita” dallo scoppio di una mina e giace “silenziosamente”, una spugna si muta in una pietra bianca perché “per qualche sua vicenda è impallidita” e i pesci, intorno alla processione in mare per Santa Cesarea, “ballano la pizzica pizzica”. Questo è il Sud di Maria Corti, tenuto nascosto in un cassetto da quando (dopo il 1949) la scrittrice ha rinunciato a presentare il suo racconto a editori e premi letterari. Ritorna ora nell’edizione di Manni, con prefazione di Cesare Segre, senza aver perso la forza di rievocare un mondo perduto, forse mai esistito o che solo uno sguardo poetico poteva essere in grado di cogliere.
È lo sguardo di una donna che ha vissuto questa terra sulla sua pelle, e che sa restituire ai dialoghi di queste anime intrise di terra e di sale, alla storia della loro vita la profondità del mare, a cui appartengono.

 30/06/2007 - Pubblinews  
Cesare Segre: «La Corti continua a essere maestra», di Angelo Lippo

Sono d’accordo – come non potrei esserlo dal momento che dice una sacrosanta verità? – con l’amico Antonio Errico, il quale intrattenendosi sul racconto lungo o romanzo breve come dir si voglia, La leggenda di domani di Maria Corti, rimasto adagiato nei cassetti della scrittrice-filologa innamorata del Salento. Afferma che probabilmente la Corti, dopo la mancata pubblicazione del manoscritto al momento della stesura, abbia sentito, avvertito, e perfino “pesato” su di lei la maturità critica che tutti conosciamo. Sta di fatto che soltanto ora, grazie alla cura di Piero Manni e di Anna Grazia D’Oria, La leggenda di domani è stata rimossa dall’oblio e consegnata ai lettori nella sua originaria veste. L’edizione è arricchita da una premessa puntuale di Cesare Segre, il quale conferma la importanza del lavoro della Corti, soprattutto nell’ampio contesto della sua produzione. «Insomma La leggenda di domani, oltre ad essere complessivamente un bel pezzo letterario, ci porta nel pieno dell’attività narrativa della Corti, e forse ce ne scopre qualche criterio. Così la Corti continua ad essere maestra anche con questo racconto chiuso in un cassetto». Su altro versante, la postfazione di Anna Longoni, che attraversa in lungo e in largo tutto l’iter della Corti, e ne scandisce le varie tappe fino al culmine del romanzo l’Ora di tutti, di cui peraltro La leggenda di domani è una sorta di fil rouge che troverà in quella prova successiva disegno e tratto distintivo. La Longoni ripercorre tutte le tappe del destino de La leggenda di domani, e fra i molti tentativi di pubblicazione e rifiuti degli editori, compare anche la notizia che proprio con quel lavoro la Corti ebbe a partecipare al Premio Taranto, nel 1949, ma fu scartato perché non rispondente al bando (infatti i lavori dovevano essere ispirati alle tematiche del “mare”), anche se venne a conoscenza che il suo lavoro incontrò l’interesse di Ungaretti. Storie e destini incrociati di persone e di luoghi, s’intrecciano così alla godibilità di un testo che se da un lato appariva in nuce un tentativo non perfettamente riuscito, oggi, a distanza di anni, è evidente che la preoccupazione di quello che dopo sarebbe diventata: una scrittrice e una filologa d’altissimo respiro culturale. La Corti, evidentemente, e ne condividiamo le perplessità, non era persona da adagiarsi sull’effimero, lei puntava a mete più alte e soprattutto tendeva al capolavoro, quell’Ora di tutti, che rappresenta il fulcro della sua maturità di scrittura narrante. E se quest’ultimo è il capolavoro, La leggenda di domani, ne è l’incipit, il prologo perché in esso è racchiuso e concluso il suo messaggio e il suo amore per questa terra calda e piena di memorie, come il Salento e tutto il Sud. Un’attenzione che andava al di là dell’affetto, dei legami d’amicizia che intrecciò e sviluppò, portando sul territorio la sua consapevolezza critica e il suo amore per la letteratura. Un libro “necessario”, a mio parere, che completa l’esistenza di una scrittrice che rimane una “maestra” indiscutibile di scrittura e di vita. E di ciò – meritatamente – va dato atto a Manni per averne portato a compimento il recupero, che ci consente di avviare un discorso unitario sull’attività di colei che rimane, per tutti, ancora e sempre la signora delle lettere italiane.

 01/09/2007 - L'Indice
A che servono i turchi, di Roberto Gigliucci

L’esordio di Maria Corti narratrice, nel 1962, è anche il dono del suo capolavoro: L’ora di tutti. Libro di guerra, di assalto, di assedio, di morte, di apocalissi, nella Otranto di fine Quattrocento. Un romanzo a più voci, di complessa coralità, dove lo scontro dei turchi con i cristiani, materia storica ed epica cruciale nella tradizione europea, si ripercuote addosso a noi brutalmente, oggi che viene simulato un analogo scontro di civiltà.
L’interrogativo che si poneva un personaggio di sfondo dell’Ora di tutti risuona quasi sconcertante: “Io domando a che servono i turchi sulla terra. Me lo dite a che servono?”. Nessuno risponde. Certo è la domanda più assurda e insieme più elementare in una età di conflitto. A che serve il nemico, l’altro? Se è diverso perché esiste? Arendt o Adorno offrirono commenti agghiaccianti a questa forma bruta di inquisizione sulla realtà, cui segue necessariamente una violenza sulla realtà.
Quel che è certo è che Corti non descrive lo scontro, pur sanguinoso ed estremo, con un linguaggio di espressionismo corporeo. È una modalità di sguardo femminile sull’atroce maschile della guerra? Comunque l’autrice rifuggiva da una prosa turgida della violenza; le era ben lontano, almeno stilisticamente, il canto salentino di un maschio neo-barocco come Vittorio Bodini, che scrisse versi quali: “Cade a pezzi a quest’ora sulle terre del Sud / un tramonto di bestia macellata. / L’aria è piena di sangue” ecc.; siamo nella seconda metà degli anni quaranta, dalla silloge La luna dei Borboni.
Nella Leggenda di domani, racconto finora inedito proprio degli anni 1945-1947, troviamo un’osservazione di quelle che rimangono conficcate nella mente del lettore: gli uomini guerrieri talora riflettono in una pausa di riposo sul “perpetuo avvicendarsi del destino di grandezza fra i popoli”, ma poi, anzi, contemporaneamente, si preparano a una nuova giornata di battaglia per l’indomani, “perché gli uomini – conclude la scrittrice – fanno così, anche se sono speculativi”. I maschi come filosofi e guerrieri, insomma, visti da un occhio femminile. Sembrerebbe una banalità, se non fosse che l’attività speculativa non è presentata come alternativa a quella bellica, ma si intuisce che l’una è sostanza dell’altra, l’una è identitaria quanto l’altra e da essa indissolubile. Gli uomini uccidono perché sono speculativi e viceversa.
Ma tuttavia questa Leggenda, pur se suoi piccoli lacerti confluiranno nel romanzo del 1962, non è una storia di violenza ma una vicenda intima, inversamente autobiografica, avendo al centro una giovane che percorre la sua vicenda di distacco dal Salento dei pescatori verso il Nord industriale, al seguito di un ingegnere giovane e pensoso.
La Leggenda è fatta di un realismo trasognato, con un ricco dialogo colmo di sapienza arcaica ma signorilmente raziocinante, certo con una necessità di essere sempre indiscutibilmente profondo a ogni battuta, ma in una prosa di lirismo nobile che tende all’esterno. Si pensa al cantilenare etnico-metafisico di Conversazione in Sicilia dell’amato Vittorini, o forse a una linea di scrittura narrativa femminile che arriva a Elsa Morante, ma vorrei azzardare un altro nome, che risulta piuttosto estraneo al mondo di Corti: Grazia Deledda. Nella leggenda pare di sentire un certo realismo stupefatto deleddiano rimpastato con i più moderni astratti furori, ma è suggerimento tutto da verificare e approfondire.
 
19/09/2007- Il Giornale - Milano
E dal cassetto spuntò un inedito
, di Luigi Mascheroni

Destini letterari. Tra i meriti della scrittrice e critica letteraria milanese Maria Corti, una delle nostre grandi «Signore delle Lettere», c’è l’istituzione (accadde tra l’incredulità di molti colleghi...) del Fondo manoscritti dell’Università di Pavia, dove ha a lungo insegnato. Erano gli anni Settanta, e all’epoca sembrava un’assurdità. Oggi è uno straordinario archivio di pagine, appunti, lettere e materiale inedito dei più celebri studiosi, romanzieri e poeti italiani del Novecento, da Bilenchi a Saba, da Gatto a Volponi. Bene. Ora la «Signora degli inediti», scomparsa nel 2002 a 87 anni, torna alla ribalta letteraria con un suo inedito, un romanzo giovanile a lungo dimenticato che l’editore Pietro Manni, un vecchio amico di Maria Corti, ha deciso di pubblicare tirandolo fuori dal cassetto dov’è rimasto per oltre sessant’anni. S’intitola La leggenda di domani (Manni, pagg. 88, euro 12) ed è ambientato tra Milano e il Salento, la terra che per ragioni famigliari - il padre, ingegnere, supervisionò i lavori della strada costiera salentina, la Otranto-Santa Maria di Leuca che “attraversa” questo romanzo molto autobiografico - diventerà la seconda casa della Corti, prima della doppia laurea (in Lettere e in Filosofia) e gli insegnamenti a Brescia, Como e quindi Milano e Pavia.
Autrice dall’esordio tardivo (pubblicò il suo primo romanzo L’ora di tutti, ispirato alle vicende della battaglia di Otranto, nel 1962) Maria Corti lavorò a La leggenda di domani nei primissimi anni del dopoguerra - il nucleo principale del romanzo risale al periodo in cui insegnava a Chiari, dove visse fino al ’47, quando tornerà ad avere un alloggio a Milano, in via Sardegna) e racconta la storia di una ragazza sedicenne, Paola, orfana milanese (la Corti perse la madre giovanissima...), che fugge dal convento al quale era stata affidata e chiede ospitalità a una famiglia di pescatori, nel Salentino. Rimarrà con loro, imparando la saggezza della vita che si incontra nelle piccole cose della quotidianità, fino a quando un ingegnere del Nord la porterà via da quella che oramai è la sua terra...
Come scrive nella premessa Cesare Segre, a suo tempo collega della scrittrice nell’ateneo di Pavia, «la polarità Milano-Salento, in cui la protagonista di questo racconto si muove, è una costante della vita e dell’invenzione letteraria della Corti. L’avvio è bellissimo. Sembra che l’autrice si sia innamorata del Salento e abbia cercato di ricrearlo usando le sue parole.

La leggenda di domani, oltre ad essere complessivamente un bel pezzo letterario, ci porta nel pieno dell’attività narrativa della Corti, e forse ce ne scopre qualche criterio. Così la Corti continua ad essere maestra anche con questo racconto chiuso in un cassetto».
Perché poi la Corti lo abbia lasciato in quel cassetto, dove il testo finì dopo qualche timido tentativo di pubblicazione, non lo sapremo mai con esattezza. Forse – come suggerisce la curatrice del volume, Anna Longoni, allieva della scrittrice - ilmotivo, oltre al rifiuto degli editori, probabilmente fu la scelta di puntare su altri progetti, più urgenti. E infatti, da lì a poco si mise a lavorare, oltre che alle opere saggistiche, ai suoi romanzi più belli, dal citato L’ora di tutti a Treno della partenza.
Maria Corti fu una narratrice anomala, forse troppo attenta, troppo “rispettosa” di quella lingua che studiava e conosceva alla perfezione da esperta filologa. Forse il suo straordinario apparato teorico e tecnico la rendeva tanto esigente fino al punto di bloccarla. Ma i pochi libri di narrativa che ci ha lasciato sono bellissimi. A partire da questa Leggenda di domani, un romanzo che recupera la tradizione attraverso la memoria e osserva “dal vero” la vita di una comunità che si trova nella bellezza delle cose semplici. Negli ultimi anni, come spesso accade agli artisti, Maria Corti diceva che il suo lavoro letterario del passato era tutto da distruggere, da cancellare. E come spesso accade agli artisti, poi, però, non lo fece. Per fortuna.