Mario Lunetta, La forma dell'Italia

06-05-2009

Il viaggio di Lunetta nell'anima del Paese, di Ignazio Deloghu

L’editore Pietro Manni pubblica l'ultimo libro di Mario Lunetta (La forma dell'Italia, 76 pagine, 10,00 euro), Poema da compiere: come definisce l'Autore. Opera singolare e “lunettica” che affronta con estrema disinvoltura formale il tema più che spinoso, rabbioso, della forma Italia deformata, o meglio, nata male e mai decollata come nazione, a causa di un processo di unificazione basato su un centralismo burocratico e mortificante, aggravato da un secolo e mezzo di pratica di governo che di quell'unificazione, anziché sanarli ha aggravato i danni e i malanni. Una storia che arriva sino agli esiti più recenti, sino all'ultima trovata di un federalismo così detto fiscale del quale è difficile immaginare le magnifiche sorti e progressive.
E, per tornare alla “forma”: quella dell'Italia, più l'appendice siciliana e quella sarda, più evidentemente insulare, . quella ben nota e scomoda dello stivale. Troppo lungo e invertebrato nella sua parte più meridionale, e ipertroficamente dilatato nella parte settentrionale, la pretesa Padania dei bossiani che dovrebbe esserne la testa e che, a mala pena, riesce a esserne il ginocchio ipertrofico. Il che non impedisce all'autore del poema di percorrerlo tutto, lo stivale, e di constatarne e denunciarne il forse irrimediabile disastro
La forma del poema è colloquiale, priva d'indulgenze patriottiche, retoriche e liriche, e invece, irriverentemente aperta ai non sense spesso esilaranti, conturbanti, sempre ficcanti e alla frammentarietà che, per dirla con l'ottimo prefatore Muzzioli, ha “svariate funzioni: la funzione della rottura a spezzare qualsiasi onda melodiosa e anche qualsiasi continuità narrativa”. L'Autore osserva la Penisola dall' alto, ma non a volo d'uccello e, invece, quanto basta per cogliere lo spettacolo niente affatto edificante delle innumerevoli brutture che palazzinari, impresari, speculatori di ogni risma con la complicità di amministratori corrotti e di politici a dir poco accondiscendenti quando non conniventi, hanno disseminato ovunque, dalle coste alla montagna, dai centri storici alle periferie invivibili.
Viaggio, dunque, perché “viaggiando s'imparano molte cose sceme o intelligenti” e perché, soprattutto, il viaggio attiva la memoria, la rinfocola e consente di andare oltre il presente e lo spettacolo sconfortante della forma di quest'Italia “cadaverica impestata... di quest'Italia italiota, gaglioffa, svergognata, truce, idiota”. O anche, per non lasciarsi trascinare nel pessimismo cosmico: “Un giocattolo rotto, frantumato nella pattumiera”. Questa, secondo alcuni, l'attuale forma dell'Italia. C'è da temere che questa, appunto, “sia la sua facies verace perseguita per secoli, ora/finalmente realizzata...”. Se non ci fossero, appunto, il ricordo, la memoria a riscattarla in una sequenza di rimembranze metà oniriche e metà reali: “qualche cartina, alla rinfusa: Torino/con le sue piazze e i suoi palazzi schizzinosi, /Venezia. E le ville del Brenta. Il Giotto degli Scrovegni...Urbino come un diamante vecchio. Firenze/ bottegaia... Roma inaudita... Napoli tenera e carogna. / La Puglia delle cattedrali marine”, “l'immobile, sfavillante Sicilia”, la “Calabria tirrenica muta nel suo crepare crepitante”; la Sardegna “che attende, avvitata su sé stessa, serpe senza più testa”. Immagine sofferta, quest'ultima e non meno sofferta metafora di una condizione marginale anche per sua colpa. Riscattata, però: “Vola il ricordo vacilla/ la memoria degli anni, lungo serpente/che marcisce...”. Anticipo di una catarsi propiziatrice di una “forma Italia” che “si ricompatta/per saldature misteriose... questa maledettissima, odiata amata forma dell'Italia, Sardegna, Lazio, Toscana...”.