Massimo Loche, Lo scottante problema delle caldarroste

27-08-2005

Detto in tivvù, di Luisa Carrada


Il linguaggio dei giornalisti televisivi a volte ti fa rabbia, a volte ridere.
Ti fa rabbia quando senti dire homeless o embedded, come se tutti sapessero l'inglese. Quando senti l'aggettivo e la tua mente ha già pronto il sostantivo tanto l'abbinamento è scontato. Quando al posto di un ente si cita una sigla incomprensibile.
Ti diverte quando il giornalista ha poco da dire e allora si dà al "pezzo di colore", dove il colore sta spesso per aggettivazione debordante, giochini di parole banali, metafore già sentite.
Che il linguaggio sia soprattutto servizio al pubblico e non valvola di sfogo per gli aneliti creativi dei giornalisti lo ricorda un libro semplice, ma intelligente, che ho comprato stamattina: Lo scottante problema delle caldarroste. Piccolo vademecum per giornalisti televisivi (e non) di Massimo Loche, vicedirettore di Rainews 24.
Loche scorre i pochi manuali per i giornalisti radiotelevisivi italiani e, ispirandosi anche al celebre manuale di stile della BBC, propone i suoi sensati consigli ai colleghi: grammatica, sintassi, punteggiatura, stile, lessico, parole straniere, più la "fiera delle parole" inutili o abusate. Molte cose sembrano scontate, ma l'autore evidentemente conosce bene i suoi polli.
Il libro è pacato e molto divertente, soprattutto nella sezione in cui analizza i "testi non esemplari", piccole lezioni pratiche utili davvero a tutti, visto che i vizi del linguaggio televisivo fanno molto presto a diventare anche i nostri.