Nicola Vacca, Ti ho dato tutte le stagioni

01-05-2008
Un canzoniere d’amore e di dolore, di Alberto Toni
 
“La lettura di queste poesie comporta l’accettazione di un’idea laica dell’inferno, come solitudine, come separazione dall’altro”, scrive Antonio Debenedetti nella Prefazione a Ti ho dato tutte le stagioni di Nicola Vacca (Manni, 46 pagine, 9,00 euro). Scrivere, in questo caso, significa attraversare le parole per ridisegnarne lo spazio interiore: si tratta di una vera e propria riscoperta di una geografia intima a due. La coppia, come “unità di misura dell’amore” è salvata dalla fedeltà del poeta, fedeltà che non va cercata nel sogno o nell’illusione, ma nella concretezza, talvolta spietata della vita, “tra un amore colto e un altro dato”.
Così in questo canzoniere scritto per la moglie aggredita dal male, Vacca si ritrova disarmato e forte al tempo stesso: “Ho chiesto aiuto e mi è stato regalato un amore nuovo, che insegna ai deboli la forza”. La parola sta dentro il corpo ferito, dentro la carne “trafitta dagli aghi della chemio” e il poeta è lì che scava, strappa le parole per farle sue, con devozione, per plasmarle. In questo senso la poesia rappresenta un sacrificio, un dono votivo e un atto liberatorio: “Non sapevo che mi avrebbero / salvato le parole, quando ho iniziato a scrivere / del cancro”. Parole che cercano un nuovo ordine, quando l’ordine si spezza, parole che diventano canto, “alfabeto delle passioni”.
La poesia, nel momento in cui canta l’amore, deve porsi come centro di verità: non esercizio, ma compostezza e rigore, misura dell’esperienza. Soltanto così sarà possibile entrare “nell’ombra immateriale” per trarne visione concreta e riconoscibile: “Ti cercherò ancora / nell’esilio del pensiero / tra le tante cose non dette, / dove il silenzio di una febbre / colma di vertigine gli abissi / di tutti i cuori che si infiammano”.