Nicola Vacca, Ti ho dato tutte le stagioni

29-05-2008
29/05/2008 - farapoesia.blogspot.com
Noi siamo le parole che pronunciamo, di Alessandro Ramberti
 
Queste poesie tratte da Ti ho dato tutte le stagioni (prefazione di Antonio Debenedetti, Manni, 2007) hanno un timbro essenzialmente lirico ma l'Autore non ci offre solo una “analisi” o un diario dei sentimenti, delle passioni forti (tragiche direi) che marcano la vita, ma pure riflette sul modus poetico, sulla forza e sui limiti della parola che serve a definire e a definirci («siamo le parole che pronunciamo») ma non possono esaurire «la verità semplice di un gesto» o spiegare in toto l'oltre che in cui precipita l'adesso. È in queste parti più leopardiane, ovviamente espresse in un linguaggio che ben conosce la poesia del Novecento e di oggi, che amiamo di più la poetica di Nicola Vacca: è qui che la sua voce si condensa in un messaggio che incide e non ha bisogno d'altro. Ecco, ad esempio, alcune citazioni da Civiltà delle anime (Book, 2004) che ci hanno in questo senso particolarmente colpito: «Tra l'inquietudine e la serenità / C'è sempre l'inizio di qualcosa» (p. 10); «L'iperbole del dubbio è la verità / che non nega la vita / Alle bugie del nostro equilibrio precario» (p. 16); «Guardare oltre la parola pronunciabile» (p. 21); «Gli oggetti che pensano / disseminano tracce d'ansia» (p. 31); «L'anima è l'inventario privato / della felicità nascosta» (p. 43).

Quanta polvere sugli anni
trascorsi a raccontare ai cuori
l’alfabeto delle passioni.
Ci amiamo nel luogo
del senza tempo,
di quell’amore che scuote
l’anima e la carne
ci ameremo di quell’amore
che non si spaventa davanti
all’incalzare del dolore
ci ameremo nonostante
l’artefice dell’immobilità
cerchi di fermare le lancette
dell’assoluto sentimentale
continueremo ad amarci
di quel grande amore
che consumiamo
oltre le parole.

***

Quando il dolore ha picchiato
alla nostra porta non potevamo
non farlo entrare. Il male non ha chiesto
permesso e comincia a insinuarsi
dentro i nostri corpi. I nostri anni
sono stati piagati, lui ormai un ospite
alla nostra tavola: insieme
lo abbiamo chiamato un errore di Dio.

Ho dovuto attraversarlo.
Ho chiesto aiuto e mi è stato
regalato un amore nuovo,
che insegna ai deboli la forza.
Anche se tutto era oscuro,
in fondo a una corsia d’ospedale,
ho sempre trovato lì
la risposta al suo mostrarsi
alla sua fame di vincere la battaglia.

Siamo le parole che pronunciamo,
siamo le cose che valgono la vita.
Nella verità semplice di un gesto
siamo rimasti traccia dell’esistere
del miracolo che resta.

L’amore ci fa diversi.
Lui, la bestia che ti assale,
non lo saprà, continuerà
la sua sconfitta.

Nel colmo della tua carne
trafitta dagli aghi della chemio
rubavo le parole alle ferite.
Eppure sapevo che quella terapia
ti stava dando un’altra possibilità.
Ho pianto ugualmente
ho trovato una casa
in tutto quel dolore.

Non dimenticherò
quel giorno di dicembre del 2003
quando mi dicesti del corpo estraneo
che si era scavato dentro te.
Il dolore vero arriva
immortale come la passione
che scava il suo inferno
nelle trincee del cuore.
Forse è per questo
che adesso ci siamo rialzati.

***

Non sapevo che mi avrebbero
salvato le parole, quando
ho iniziato a scrivere
del cancro, del suo veleno
che ti stava bevendo la vita.

Non sapevo di poterlo
guardare negli occhi,
mentre il suo pugnale
si preparava a colpire.
E sfidarlo non avendo paura
di chiamarlo con il suo nome.

01/06/2008 - La Mosca di Milano
L'ineluttabilità del male e la certezza dell'amore, di Gabriella Fantato

 Partiamo dalla citazione di Testori che apre il nuovo libro di Nicola Vacca: “il dolore più vero non si scrive. / E’ muto, imprendibile, / increato.” e avviciniamola a quanto emerge in un testo centrale della raccolta: “Quando il dolore ha picchiato / alla nostra porta non potevamo / non farlo entrare. Il male non ha chiesto/ permesso e comincia insinuarsi/ dentro i nostri corpi (…)” e nella strofa seguente: “Ho dovuto attraversarlo. Ho chiesto aiuto e mi è stato / regalato un amore nuovo, / che insegna e debole la forza (...)” e ancora: “Siamo le parole che pronunciamo / siamo le cose che valgono la vita.” e, in chiusura: “L'amore ci fa diversi. / Lui, la bestia che assale / non lo saprà, continuerà / la sua sconfitta”. Ecco qui, ritmato in quattro strofe, il percorso e insieme il tono di questo libro coraggioso, unitario, persino azzardato: l'ineluttabilità del male e del dolore; la necessità di attraversarlo sino al suo fondo più scuro; il grande valore dato alla parola poetica nella necessità di significazione di ciò che appare senza senso, addirittura “un errore di Dio” e, infine, la certezza dell'amore, fondamento e possibilità di vita, amore risorto proprio dall'interno del dolore. Questi “passaggi”, che sono trasformazioni interiori sia dell'io poetico sia della moglie malata, si trovano articolati in vario modo in tutti i testi, in poesie che sanno, al contempo, mantenere da un lato una grande aderenza alla carnalità del dolore, grazie a una lingua scabra e precisa che arriva sino alla nominazione del luogo del dolore, l'ospedale, con la presenza del sangue che segna il corpo, della carne torturata dalle febbri e dalle ferite (non solo sulla pelle, ma nell'anima) e, dall'altro lato, acquistano pronuncia verticale, in una lirica tesa e contratta, sempre fortemente “tenuta” e “contenuta” dalla certezza dell'amore: “L’amore è negli abissi/di una preghiera, /la liturgia del nome/ci daremo alle nostre fioriture”. Ecco perché, sebbene si tratti di un libro-testimonianza di un evento autobiografico doloroso, la scoperta della malattia della moglie; sebbene l'intenzione che ha animato il libro stesso, ovvero dar voce a quest'esperienza stessa, è particolarmente complessa, possiamo dire che il libro riesce nel suo intento, con punte di alto livello espressivo e formale, in cui si dà voce al silenzio, forma alla sofferenza e slancio alla vicinanza amorosa, il tutto senza cadere mai nella retorica o nel sentimentalismo. Nicola Vacca è davvero convinto che la poesia possa nominare ogni evento e ogni cosa facendola diventare “significante”, motivo di condivisione umana, poiché la poesia va al di là dell'esperienza singola e specifica, dando nome al male, al dolore, a lutto che minacciano la nostra umana fragilità, in ogni momento, dando quindi rilievo al nostro stare in bilico, legati alla vita solo dall'amore che siano in grado di provare e trasmettere. Di questa “fede” nella parola, leggiamo in questo bel testo: “Dobbiamo insistere sulle parole, / questi grumi di senso con cui/ci amiamo nelle stagioni; dobbiamo credere alla lingua dei sogni / con l'urgenza del loro bagliore, / che si consuma in una tenerezza / che non chiede nulla, non chiede/l'almanacco di un amore dove / tutto accade perché niente resta”.

11/08/2008 – www.lankelot.eu
A nulla vale respirare un’altra essenza, di Gianfranco Franchi

Nicola Vacca sta combattendo al fianco della sua amata compagna la battaglia più difficile: contro il male, contro il dolore, contro l’atrocità del tempo: contro l’assurdità d’una malattia sotterranea, e infida. Il poeta torna alle sue origini – alla poesia elegiaca e sentimentale, al canto della donna adorata, consapevole che l’esistenza ha senso e valore per la sua presenza, e che a nulla vale respirare un’altra essenza – e si schiera, guerriero gentile e senza paura di niente, in prima linea. Nient’altro ha senso, scacciamo via la letteratura e la letterarietà; e che questi versi servano a dare vita, sostegno e speranza a chi sta lottando, e non cede di un passo. Che ogni singola parola abbia peso: e nutra e alimenti il ritorno alla luce, e a un presente sano.

Lasciamoci introdurre all’opera dalla classe del letterato Antonio Debenedetti: “Una donna, scoprendosi malata, rivive con una nuova, più matura passione il rapporto col suo uomo e lui soffre il dolore di lei fin nel profondo suo essere, dove nemmeno le lacrime a volte riescono a giungere. Dietro questo diario (…) c’è l’ombra d’una presenza muta. La presenza della tradizione culturale del nostro Occidente (…). Vacca si strappa il bavaglio con le mani d’un innamorato che fa parlare le parole senza paura delle parole. La sua vittoria è anche in questo coraggio (…). È la coppia che trionfa sull’abbattimento, sullo strazio, sul precipitare dello sconforto” (p. 6).
36 nuove poesie compongono “Ti ho dato tutte le stagioni”: come opportunamente spiega il grande letterato torinese, classe 1937, si tratta di versi intimi, nudi, essenziali: il poeta sta combattendo una battaglia fondamentale al fianco della sua Musa. Piangendo la carne trafitta dagli aghi, e confidando nella terapia: conscio che “amore è antidoto / al veleno della vita” (“Non hai mai avuto paura del male”).
E così, “Ci ameremo di quell’amore / che non si spaventa davanti / all’incalzare del dolore / Ci ameremo nonostante / l’artefice dell’immobilità / cerchi di fermare le lancette / dell’assoluto sentimentale”, scrive Vacca in “Quanta polvere sugli anni”.
L’artista di Gioia del Colle torna sulla poesia delle sue origini, dicevamo: con spirito disperato e vivo, pazzo d’amore e di voglia di (r)esistere: “L’amore è, negli abissi / di una preghiera, / la liturgia del nome / che daremo alle nostre fioriture”: pure consapevole, con Giovanni Testori, che “Il dolore più vero non scrive. È muto, imprendibile, increato”, trasfigura il male e la sofferenza e il desiderio del ritorno alla normalità: alla salute, al sogno condiviso, alla serenità, credendo esista una ragione per credere nella luce (“Ti cercherò ancora”).
E così, tu lettore, cauto e guardingo, sorridendo di greca sympatheia e buddista compassione: comprensione e condivisione del dolore, intendo, e speranza di rigenerazione, allora… 

Entra con me nelle stanze
dal nome infedele;
i sorrisi cercano solitudini
segrete in un dialogo
che svela sillabe del cuore.
(NV, “Entra con me nelle stanze”). 
“Dammi mille e mille giorni” – canta Nicola, echeggiando quel “deinde altera mille” di catulliana memoria (cfr. “Vivamus”, V) – perché voglio pronunciare il tuo nome: il tuo sguardo mi dona l’eternità (“Sei il dono più prezioso”).
Ti ho dato tutte le stagioni
Nel tempo dell’ascolto,
sul precipizio. Ma qui,
ancora, l’amore nasce
e muore insieme a noi.
(NV, “Non ci resta altro”).
“Il dolore arriva senza annunciarsi / niente è come prima”: “il dolore è / l’errore fatale di Dio” (“Siamo caduti quando”). Allora, stavolta niente critica e niente osservazioni stilistiche. Niente annotazioni sulle reminiscenze e sugli omaggi, né meditazioni sul dolore in letteratura. Soltanto, umana solidarietà e sostegno a chi si batte contro la malattia, e per il ritorno del sogno.
Questo è quanto. Auspicando che la serena musica segreta ispiri sempre nuovi versi – e di vittoria, e di sorriso all’affronto della sorte di ferire, ammalando, chi s’amava – qui concludo il mio viaggio nei versi di Nicola Vacca, poeta atipico e laterale, capace di sentimentalismo e di satira dell’Occidente, di cantare l’amore e la battaglia: contro il vuoto, contro l’assenza, contro il male.