Pietro Gatti. Poeta

05-05-2010
La poesia come legame con la realtà, di Gerardo Trisolino

“Pietro Gatti poeta”, a cura di Donato Valli (Manni, vol. I, pp. 430, euro 23; vol. II, pp. 356, euro 22), rende finalmente disponibile il corpus completo delle poesie dialettali dell’aedo di Ceglie Messapica. Uno sforzo editoriale che Gatti meritava. Un monumento cartaceo al grande poeta che ha saputo trasformare il dialetto di Ceglie in una lingua universale, che ha elevato gli anonimi contadini della sua patria in una dimensione epica, che ha dato voce ai bambini vittime della strage degli innocenti di tutto il mondo e di tutti i tempi.

«Pietro Gatti rappresenta – ricorda Valli nella prefazione – il punto più alto della poesia dialettale del Salento e uno degli acquisti più convincenti della poesia dialettale dell’intera Nazione… Quanto più la realtà è dura e spietata, tanto più la scrittura diventa ricca e densa di pietà».
Commuove lo sforzo compiuto dal Maestro leccese della critica novecentesca di dare esecuzione ad un mandato – si direbbe quasi – testamentario da parte del poeta. In una lettera del 4 dicembre 1996, in un periodo in cui la sua salute vacillava e presentiva già l’epilogo, Gatti lo designò custode universale delle sue poesie: «Sarai tu ad occupartene in assoluta libertà. Mi piace enormemente pensare al “postumo”… Per ultimo: “Viva la mia poesia!”. Per essa, con essa e in essa vivrà pure la mia Terra, vivrà pure il mio umilissimo nome».
Intorno a Valli si sono stretti tutti coloro che hanno fortemente creduto in questo progetto, da Anna Grazia D’Oria e Piero Manni, all’ex assessore alla cultura Patrizio Suma, all’ex sindaco Pietro Federico, alla figlia del poeta, agli amici di Gatti che hanno firmato le loro testimonianze polifoniche: Domenico Uccio Biondi (il pittore a cui il poeta affidava i disegni per i suoi libri), don Domenico Caliandro (l’attuale vescovo di Nardò-Gallipoli), Nicola Cavallo, Luigi De Tommasi, Maria Antonietta Epifani, Rosario Jurlaro, Damiano Leo, Giuseppe Leone, Gerardo Trisolino.
Il primo volume raccoglie in ordine cronologico i capolavori della poesia gattiana: “Nu vecchju diarie d’amore” (finora circolato alla macchia), “A terre meje”, “Memorie d’ajere i dde josce”, “’Nguna vite”. Nel secondo si trovano inseriti il poema “A seconda venute”, “Fra Ggenebbre” e i tantissimi preziosi inediti rinvenuti nello scrittoio del poeta, testimonianze del suo strenuo legame con la parola poetica fino quasi alla fine dei suoi giorni. Poesia come ragione di vita, dunque; poesia come unico legame con il mondo e la società, con la natura e la realtà che lo circondava.
Tutto per lui era occasione per filtrare l’esistenza con l’immaginario lirico, con quel delicatissimo e sensibilissimo filtro della propria sensibilità e dei propri sentimenti, tanto prossimi alla dimensione pascoliana. La poesia divenne quasi – diremmo – lo strumento di conoscenza del mondo interiore ed esteriore. Gatti non sapeva guardare la realtà se non attraverso lo speculum tutto speciale del verbo poetico, fino allo sfinimento, con una frenesia che ricorda l’esplosione improvvisa di una sorgente a lungo tenuta sotto pressione e che ha bisogno di sgorgare senza altri ostacoli, dopo che l’acqua si è depurata di ogni scoria. La poesia l’aveva scoperta tardi, infatti, e voleva recuperare il tempo perduto: a 63 anni diede alle stampe la prima, straordinaria raccolta: “A terre meje”, che gli guadagnò gli immediati consensi di Marti, di Valli, di Macrì, a cui seguirono altri importanti riconoscimenti nazionali.  
Ho già scritto che Gatti è anche morto di poesia. Aveva quasi ottant’anni quando nell’estate del ’92 intraprese di getto un lavoro troppo impegnativo per le sue precarie condizioni fisiche: la stesura del poema narrativo “A seconda venute”. Lo stress fu tanto forte da far precipitare rovinosamente quell’esile equilibrio delle sue residue forze vitali. Da allora fu costretto a continui ricoveri ospedalieri. Ma la poesia non l’abbandonò neppure durante le degenze e le convalescenze. Si spense nella campagna cegliese il 27 luglio 2001, all’età di ottantotto anni. Un luogo migliore e più prediletto non poteva esserci. La campagna, la famiglia, la natura, la poesia: come culla e come tomba.
L’edizione di Manni consente, dunque, di conoscere per intero il poeta cegliese, di gustare la musicalità e la corposità dei suoi versi, la loro malinconica bellezza.