Tilde Pomes, Se non resta che il diluvio

27-05-2016

Il teatro dell'impossibile, di Stefano Savella

Il primo collegio dei docenti dell’anno è un po’ come il primo giorno di scuola per gli studenti. Vecchi e nuovi colleghi si ritrovano per stabilire le procedure, per lo più burocratiche, che avviano le attività: ci si confronta sugli orari delle lezioni, si fa la conoscenza di giovani docenti magari alla loro prima esperienza, si tirano le somme dell’estate e dell’anno scolastico precedente, con il suo carico di ripetenti, e si accolgono le richieste di nuove iscrizioni. Il giorno del primo collegio dei docenti i corridoi sono ancora silenziosi, le aule hanno fermato il tempo a tre mesi prima, con i disegni sconci sui banchi e le frasi d’amore sulle lavagne. Tutto sembrerebbe essere sereno, in un clima tutto sommato leggero di ritorno alle attività scolastiche. Ma è davvero così?

All’I.T.C. Borgia – nomen omen – l’aria è invece assai più surriscaldata, e non soltanto per gli ultimi fuochi della calura estiva. I professori si confrontano, è proprio il caso di dirlo, senza esclusione di colpi, di fronte a colui che dovrebbe mantenere l’ordine, il famigerato dirigente scolastico, professor Aristide Diluvio. E infatti Non ci resta che il diluvio (Manni Editori, pp. 176, euro 15) è il titolo del romanzo di Tilde Pomes che racconta con ironia questa stravagante compagnia di professori, immaginando una circostanza perfettamente reale attraverso l’uso di specchi deformanti. Il risultato è un «teatro dell’impossibile», in cui per una volta il racconto del mondo della scuola fa a meno dei suoi tradizionali protagonisti, vale a dire gli studenti, concentrandosi esclusivamente sugli insegnanti, corpo del quale la stessa autrice fa parte.

Pur in assenza degli studenti, il romanzo ha radici ben piantate nel mondo dei social: è su un gruppo Facebook, infatti, che alcuni degli insegnanti che partecipano a quel tragicomico collegio dei docenti pubblica i suoi resoconti. C’è lo spagnolo Miguel Favareto Landròn con i suoi intercalari ispanici, Agnello Rossi che non può fare a meno del suo dialetto napoletano, c’è la spagnola – soltanto di nome – Mariolina De La Barca. Ognuno di essi offre uno spaccato di quella giornata e della scuola nella quale dovrà affrontare l’anno che si apre. Una scuola nella quale i problemi, nonostante il sarcasmo che innerva il romanzo, sono drammaticamente reali: come la presenza di studenti stranieri, i più penalizzati negli scrutini del Borgia, o come gli atti di vandalismo nel laboratorio di chimica che fanno andare su tutte le furie il professor Agnello Rossi. E poi le gelosie tra insegnanti, il confronto tra generazioni diverse del corpo docenti, le lunghe relazioni burocratiche risolte con uno spinto copia-e-incolla. Questioni su cui questo romanzo, con un sorriso un po’ amaro, aiuta a non dimenticare.