1978
http://www.francesconiccolini.it/
Dalla presentazione del 19 marzo alla Casa di cultura argentina di Roma: http://www.youtube.com/watch?v=0vJcROGgXIY
PREFAZIONE
Buenos Aires, 14 aprile 2008
Il libro mi ha riportato senza retorica a quegli anni in modo diretto, con biglietti aerei, trascrizioni di telefonate, dialoghi rubati.
Ci sono infinite maniere di raccontare un evento storico. Diceva Ana Maria Careaga, sopravvissuta ai campi di concentramento argentini quando aveva 16 anni ed era incinta, che la questione desaparecidos è come il risucchio del mare, va e viene, sembra argomento dimenticato nelle famiglie argentine, ma c’è sempre un adolescente al quale nessuno ha mai raccontato niente che torna un giorno da scuola e chiede “che è successo qui dietro casa in quegli anni?” e allora tutto ritorna.
Qualche giorno fa ho assistito al processo di Maria Eugenia, la ragazza trentenne che ha denunciato le due persone che l’avevano rapita neonata e che si sono finte per anni i suoi genitori. Sotto processo anche il militare che l’aveva presa alla madre poi desaparecida. Ero tra il pubblico in Tribunale, e ad un certo punto ho incrociato lo sguardo del militare elegantemente vestito, né lui né io abbiamo abbassato lo sguardo. In quei lunghi minuti ho pensato che quello sa di altre donne sequestrate a cui hanno rapito il neonato/a, sa come si chiamano i nonni che lo/la cercano da trent’anni, sa dove quei ragazzi/e vivono oggi, e sa dove sono i corpi dei desaparecidos che le Madri cercano da trent’anni. Sanno tutto e non hanno mai parlato. I giudici gli hanno dato una pena appena superiore a quella che danno a uno che ha rubato un’auto. Diciamo che qui in Argentina, oggi, rubare un’auto equivale a sequestrare un neonato.
E guardando quell’uomo brillantinato, sicuro di farla franca tenendosi con sé tutto quello che sa, ho immaginato per un attimo il sistema sudafricano applicato in Argentina: sequestratori e torturatori messi su un palco, uno ad uno, di fronte a migliaia di parenti delle vittime, con un’unica via di fuga: confessare tutto. Potevano scendere dal palco solo dopo aver detto tutto. E quando sembrava arrivato il momento, c’era sempre qualcuno che urlava tra la folla: “Non hai ancora detto tutto! Ti devi ricordare anche di me!”
La folla inferocita qui in Argentina la vediamo solo allo stadio, al processo di Maria Eugenia eravamo in pochi, qualche decina.
C’è una pagina del libro che mi è rimasta impressa, è la fotocopia di un biglietto aereo elettronico di un viaggio Genova-Buenos Aires. Ho scavato nei miei archivi ed ho ritrovato una fotocopia del mio biglietto aereo (cartaceo) Buenos Aires-Milano, luglio del 1977, quando fui espulso dall’Argentina per motivi politici. Fotocopiai quel biglietto proprio nel 1978, componendo un’immagine che ora diventa parte di questo libro.
Marco Bechis