Chi ha rubato Pecos Bill?
Chi ha rubato Pecos Bill?
Chi era Pecos Bill, di Ermanno Detti
Alla fine degli anni Quaranta il mercato del fumetto era inflazionato da numerosissimi albetti italiani, per lo più formato striscia, in bianco e nero. Molti di genere western (tra tutti il più noto era Il Piccolo sceriffo). La Mondadori entrò nel mercato del fumetto western alla grande con Pecos Bill: un albo d’oro a colori (solo metà pagine però) e soprattutto con un eroe che si differenziava parecchio dagli altri. Difatti il nostro eroe non era un “piccolo” ma un grande eroe, aveva perfino dei protettori celesti, i Cavalieri del cielo, che nei momenti di grande difficoltà lo aiutavano e lo incoraggiavano con le loro apparizioni. Vestito molto elegante, un po’ dandy, frange ai pantaloni, non conosceva la violenza della armi, combattevo solo con il lazo e con qualche pugno. Non uccide mai i suoi nemici, ma il destino riservava loro sempre un brutta fine. Pecos Bill Cavalcava un cavallo formidabile, capace quasi di volare, Turbine. E aveva due donna. La prima era la piccola Sue, bionda, tutta latte e miele, bisognosa di protezione, la seconda era Calamity Jane, vera e propria spalla, che combatteva a fianco del mitico eroe contro i cattivi.Le sue avventure erano ambientate in un Texas favoloso nel rispetto però di tutti gli stereotipi del genere western: villaggi sperduti, saloon, carovane di pionieri, presenza di indiani, di sceriffi venduti, di cercatori d’oro.
L’albo edito da Mondadori cessò le pubblicazioni nel 1955, ma è stato più volte ristampato e ripreso da altri sceneggiatori. Da Pecos Bill sono stati creati anche alcuni libri destinati ai ragazzi, veri e propri romanzi western. E anche questa curiosità sono in pochi a conoscerla.
INCIPIT
Sabato
Dove aveva letto quelle parole? E perché gli erano rimaste nella memoria?
Il commissario Martini, sbadigliò e guardò fuori dalla finestra del suo ufficio al primo piano del palazzo sull’Isola Tiberina proprio di fronte a ponte Fabricio, davanti alla Sinagoga.
Il freddo mordeva quella mattina in città e mancava poco che nevicasse… ma Roma è fatta così, manca sempre poco per qualcosa… In tutta la sua vita aveva visto solo un paio di volte Roma sotto la neve e mai comunque era durata il tempo sufficiente per godersela da vari punti di osservazione. Così, pochi giorni prima era andato, per curiosità, al Museo di Roma in Trastevere a vedere l’acquerello di Ettore Roesler Franz che tristemente raffigurava, alla fine dell’Ottocento, l’Isola Tiberina sotto un manto bianco.
«La stufa a sabbia non riscalda» urlò verso la porta spalancata. Una guardia si precipitò. «È solo saltata la corrente, dottore, ci abbiamo tutte le stufe e i computer accesi.»
«E allora spegnete i computer» ordinò laconico, fregandosi le mani con forza.
Omar Martini distese sulla scrivania il “Messaggero” alle pagine della cronaca nera e sbadigliò ancora, tra poco avrebbe preso un altro caffè.
Eccolo di nuovo lì, sulla sua Isola al centro di Roma, relegato in un torpore a cui non aveva voluto sfuggire; commissario da sempre, aveva traversato i venti e più anni di carriera con alterne vicende.
Si era perfino imbattuto in indagini importanti, ma, al Ministero degli Interni, non era amato. Nelle stanze dove si gettavano le sorti qualcuno lo aveva bollato per sempre: “È troppo coerente con le sue contraddizioni!” E gli avevano affidato la responsabilità del Commissariato di polizia fluviale, con un raggio d’azione limitato a reati minori, comprendente l’Isola e le zone limitrofe e il tratto cittadino del Tevere. In alcuni punti del fiume il reato maggiormente perpetrato era il furto di ghiaia, mentre i ben più gravi delitti di sversamento di sostanze nocive dei processi lavorativi di tipo industriale ed agricolo venivano compiuti fuori Roma e vedevano, quindi, l’intervento del Corpo Forestale dello Stato. Lui si limitava a informare, a segnalare… insomma a passare le carte.