Contrada Mocenigo

Contrada Mocenigo

copertina
anno
2008
Argomento
Collana
Categoria
pagine
168
isbn
978-88-6266-012-9
13,30 €
Titolo
Contrada Mocenigo
Prezzo
14,00 €
ISBN
978-88-6266-012-9
nota
Prefazione di Silvano Agosti
Silvano Agosti, nella prefazione a questo romanzo di formazione, scrive: “Testimonianza, Contrada Mocenigo, non soltanto di un tempo inesorabilmente trascorso, ma di una condizione umana che sembra fissata per sempre con i canoni della sottomissione dei più deboli ai più forti e dell’invisibile ferocia di destini imposti, subiti e mai vissuti.”
È una storia coinvolgente, poetica e dura insieme.
Elisabetta Luzzardi è nata e vive a Brescia.
Ha pubblicato testi di poesia e un romanzo, ha realizzato opere teatrali e cortometraggi, collabora al foglio del circolo Anna Kuliscioff.

INCIPIT
 

Il mio primo, più lontano ricordo non è un ricordo, è un vapore.
Poi c’è un colore, una linea e un buco nero.
Il colore è l’azzurro; l’azzurro chiaro di cui è colorata la mia infanzia, che va sfumando in grigio verso la linea. Una linea densa e scura che la divide da quella schifezza, una specie di malattia che capita addosso senza averla cercata, che si chiama crescere.
In questa zona scura la prima figura che ricordo è quella di un vecchio che indossa un mantello.
Il vecchio sverginava le bambine con le mani.
Le faceva sedere sulle ginocchia, le avvolgeva con il mantello, come per gioco, e, imprigionandole con le braccia, trovava il modo di abbassare loro le mutandine e deflorarle.

***

Via Diaz. Sono incolonnata nel traffico.
Abbasso la testa per controllare il tagliando dell’assicurazione e vedo la gru.
Al semaforo l’automobilista davanti a me, anziché passare col giallo, frena bruscamente. Penso “imbranato”, e la mia attenzione è subito catturata dall’insegna rossa del nuovo supermercato.
Pochi minuti e sono a casa.
Giorno dopo. Stesso punto, stesso traffico.
Sono nella corsia di destra. Imbocco la stradina laterale: forse 200 metri, fin dove finisce, a ridosso della ferrovia.
Scendo dalla macchina, mi avvicino.
Accanto alla gru c’è una piccola ruspa.
Non c’è nessuno: è ovvio, tra poco sarà buio.
Sono trascorse meno di due settimane.
Con l’automobile mi dirigo lentamente verso gli Spalti di San Marco, paralleli a via Diaz. Oggi mi sono regalata una giornata di totale libertà.

Via Pietro Marone, con i vecchi ippocastani che l’accompagnano, termina, a sud, con un muretto e una fila di gelsi che proteggono dalla ferrovia. A nord, invece, sfocia nei giardini sotto l’intero tracciato delle mura venete dalle quali, tra i bei villini liberty, altre stradette si dirigono verso il centro della città e verso la Panoramica in direzione delle Prealpi.
Un tempo la città si sviluppava solo a est e a ovest, come fosse intimorita dalle rotaie.
Là in basso, la grande casa fatta di mattoni rossi è ben visibile: squadrata, solida, rassicurante.
Stanno recintando tutto: la casa e i due caseggiati vicini dove c’erano le stalle per i cavalli e il deposito delle immondizie.
Nel giardino di fronte la vegetazione ha invaso gran parte dei vialetti di ghiaia.
Il sole sta svegliando la città e dirada la bruma.
Il paesaggio è bellissimo anche in questa stagione in cui le colline alle spalle dell’abitato mostrano più rocce che verde.
Sopra di me nuvole chiare si rattoppano lasciando intravedere un cielo pallido; più lontano si diradano e si muovono lentamente disperdendosi in filamenti bianchi.
Nessuna promessa dunque, nessun anticipo di primavera.
Arriva un treno, stride, accelera, sfreccia via riflettendo dai finestrini bagliori di luce che si inseguono asimmetrici come frammenti di specchio.