Deserti

Deserti

copertina
anno
2008
Argomento
Collana
Categoria
pagine
224
isbn
978-88-6266-032-7
17,10 €
Titolo
Deserti
Prezzo
18,00 €
ISBN
978-88-6266-032-7
nota
Prefazione di Mario Lunetta
In questo romanzo c’è la scrittura come esperienza fisica, sensuale e visiva, in una sorta di intelligenza delle cose e delle persone esperita attraverso pulsioni dell’intuizione e dell’istinto. Tutto il libro si avvale di una convincente alternanza dei tempi narrativi trattati a blocchi, sul filo di un efficace gioco di flashback: tempi che funzionano come spazi diversi, anzi conflittuali, di vita, di crescita drammatica.
Mario Lunetta
 
Raffaella Spera è nata a Potenza. Ha vissuto in Medio, Estremo Oriente ed Africa. Da lungo tempo abita a Roma dove ha codiretto la galleria Artanciel in via Margutta; la casa editrice Rossi & Spera; una collana di poesia per Carte Segrete.
Ha collaborato a varie riviste letterarie e alla RAI-TV.
Ha pubblicato sette raccolte poetiche.

INCIPIT
 

Ancora mezz’ora e l’aereo avrebbe atterrato a Gedda. Da Roma, un balzo di sole quattr’ore, quante ce ne vogliono da Potenza alla capitale in auto. Ma è un tuffo nel tempo, uno iato che non si misura con l’orologio.
Lo stesso che c’è fra lo stato di veglia e il sogno: una frazione di un minuto insufficiente a segnare il distacco tra le due dimensioni. A quantificare la differenza. Ed ora stavo scivolando nell’estatica sensazione di lasciarmi alle spalle ogni problema. Di vincere la memoria col fluire del presente. Il ronzio dei motori mi cullava nella solarità filtrante dai finestrini. Mi chinai per guardare davanti a me. Lontano, basso ed irreale, il mare s’infittiva in una selva di lame spezzate, immobili e frementi. Un magma luminoso verso cui procedeva la sagoma scura di una petroliera. Che presto ne venne ingoiata. Portai una mano agli occhi per vincere il controluce. Cercavo la costa. La terra di un mito duro a cedere alla realtà, che ancora non si scorgeva. Distolsi lo sguardo. Sfogliai distrattamente un depliant, che tenevo sulle ginocchia. Magnificava monumenti orientali, a colori vividi. Oasi fresche e sonnacchiosi cammelli ad uso dei turisti. Lo richiusi infastidita.
Non specchiava certo le ragioni del mio viaggio, per me terminale e partenza di due periodi ben distinti. Taglio netto fra la contraddizione e una sperata identità. Il segno di una vocazione nomade, che si stava attuando. Nulla più della discesa nel medioevo mediorientale le poteva dare sostanza e concretezza.
Ipnagogica sensazione della levità dove i frammenti del reale scompongono i loro disegni. Si spezzano in frasi, immagini rapide subito spente. Ingoiate dal sopore. Dal piacere dell’abbandono.
“Mi sto addormentando.”
Sollevai la testa dallo schienale a cui m’ero inconsapevolmente appoggiata. Tornai a guardare dal finestrino.
L’incandescenza dell’acqua sembrava spostarsi di lato. Quasi a lasciare spazio alla massa blu indaco del mare, dove nitida ora avanzava la distesa bianca e calcinata della terra.
“Il deserto” pensai con un brivido.
Mi prese un’agitazione febbrile. Ciò che poco tempo prima non era che un progetto razionale, formulato con l’astrattezza di ora e località, s’incarnava in vibrazioni. Rinfocolava l’impazienza.
“Anche Luca” pensai.
Lo immaginavo già all’aeroporto, come m’aveva annunciato da Riyadh, precedendomi di una settimana. Certo camminava avanti e indietro, sbirciando l’orologio. La sua natura apprensiva e coinvolgente. Il volto carnoso e segnato. I corti baffi scuri, che volgevano al rossiccio. Il tic della bocca a segnalare l’agitazione. Cercavo di immaginare la sala d’attesa: il lucido pavimento, le ampie vetrate, la gente che bivacca prima della partenza, quella che sciama dalle uscite dei terminali. Mi accorsi di pensare in termini occidentali. Mancava l’ambiente arabo. Dovetti aggiungere a fatica, qualche barracano bianco preso dal depliant. Che non riuscivo a concretizzare nei dettagli. Soltanto sul fondo: un piatto vagare di figure su cui campeggiava la fisicità di Luca.
L’unico primo piano che potessi agevolmente scrutare. Sfarlo e rifarlo dalle diverse angolazioni.
«Ha bisogno di qualcosa?»
Una hostess impeccabile nella divisa grigio-blu, s’era chinata con irritante premura. La guardai per un attimo senza realizzare.
Si allontanò lungo il corridoio, vigilando con discrezione sugli altri passeggeri. L’immagine di Luca che si frantumava. Le pareti levigate della carlinga. Le reticelle, le nuche dei compagni di viaggio, intraviste oltre gli alti schienali. Per fortuna accanto a me non avevo nessuno. Sul posto vuoto qualche libro, i giornali, la mia rigonfia borsa di pelle. Non avrei sopportato una chiacchierata oziosa. Di prammatica con uno sconosciuto…
Del resto ne avevo macinate di parole, fra me e me. Dubbi, domande e risposte. Propositi e… no, nessun pentimento. Semmai l’angoscia di non provarne. Anche questa era una lacerazione.
Che d’improvviso lasciò il posto ad un’inquietante spossatezza del corpo. Recalcitrante mio malgrado alla proiezione in avanti nel chiarore che si andava via via accentuando. Guardai l’orologio. Otto… nove, al più dieci ore prima ero a Potenza.