Figlia d’arte
Figlia d’arte
Selezione Premio Tropea 2010
Irene è la mia ultima assistente alla regia, che – invece d’avviarsi a una promettente carriera teatrale – ha rinunciato a tutto (professione, vita privata, rapporti sociali, fors’anche all’amore) per occuparsi con una dedizione toccante, da sette anni ormai, esattamente da quando ho abbandonato le scene, di questa povera carcassa di vecchio dal respiro affannoso e dal passo vacillante.
«Ormai è estate» insiste il giovane medico, tradendo un’improvvisa venatura di siciliano nella voce, forse un’eco del rimpianto per la sua isola mediterranea.
«La casa è ampia e fresca, anche se siamo in città» tento di ribadire.
«Sono cinque anni che non torni a Valverde» osserva sempre da dietro a me Irene: vuole che l’altro ascolti, cerca di trovare con lui un’intesa solidale.
«Non conosco questa sua proprietà» incalza il dottore «ma quand’anche si trovasse nella più assolata campagna, l’aria sgombra dai miasmi della metropoli non potrebbe che esserle di giovamento…».
Come faccio a spiegare a questo giovanotto zelante che rimetter piede nella casa dei padri non è immune da qualche turbamento, può anzi innescare una prevedibile inquietudine? «E poi c’è il libro» forse ho trovato un buon pretesto «quella benedetta biografia, che tra non molto rischia di uscire incompiuta e postuma…». Tento di coinvolgere a sua insaputa Roberta, la giornalista che da più di un anno mi fa visita un paio di volte la settimana per un intero pomeriggio, con encomiabile ostinazione.
«Valverde è a una cinquantina di chilometri, Roberta è un’autista intrepida, non credo si rifiuterebbe di raggiungerci…» insiste Irene, che non sembra disposta a cedere.
«Temo di non potervi essere d’aiuto» abbozza non senza ironia l’isolano dottore. «È dovere del medico far presente al paziente i vantaggi di cui potrebbe godere. Sta all’interessato, e a lui soltanto, decidere sul da farsi. Se permettete…»
S’è alzato, ha richiuso la borsetta d’ordinanza e fa per avviarsi. «C’è uno scrittore francese del primo Novecento, Paul Léautaud, che ha scritto: “Tutto sta a diventare ottantenni. Poi basta lasciarsi vivere…”.»
Aggiungo indispettito alla citazione: «Io di anni ne ho ottantadue. Vorrei dispormi all’Aldilà senza ulteriori affanni.» Non so se mi prestano ascolto. Volgendo il capo, li scorgo confabulare sulla soglia tra salotto e ingresso. Il dottorino sembra rassegnato, Irene ha invece un’aria combattiva.