Figlia d’arte

Figlia d’arte

copertina
anno
2009
Collana
Categoria
pagine
80
isbn
978-88-6266-168-3
9,50 €
Titolo
Figlia d’arte
Prezzo
10,00 €
ISBN
978-88-6266-168-3
nota
In copertina collage di Giulio Paolini
Un anziano ed un tempo celebre regista di teatro, cinema ed opera lirica – su cui qualche lettore «pettegolo» potrebbe ostinarsi a riconoscere un protagonista della scena novecentesca – si ritrova, senza saperlo né sospettarlo, a contatto diretto con le vittime indirette di un suo lontano sopruso, che ha del tutto rimosso e di cui non serba il menomo ricordo…
Guido Davico Bonino ci propone, nelle tonalità sfumate di un inconsueto «giallo interiore», una dolente riflessione – come osserva Luca Lamberti nella sua nota critica – sul «tema della genialità e della creatività dell’artista, che potrebbe essere tradotta in questa domanda: “Doni così rari sono esclusivo privilegio del singolo o devono da costui essere condivisi con i ‘non privilegiati’?”».
 

Selezione Premio Tropea 2010 

 
INCIPIT
 
«Dovrebbe decidersi a riposare, una volta per tutte» dice il dottorino con quella sua voce cupa, che ha il rimbombo di una conchiglia. Irene annuisce, di certo con un velo di malinconia negli occhi. Non posso scorgerla perché mi sta alle spalle, con le lunghe mani venate d’azzurro poggiate sulla spalliera della mia poltrona, ma è come se le leggessi nello sguardo. «Glielo ripeto quasi ogni giorno» scandisce con il ritmo cantilenante che aveva la mia nutrice Edvige. Ma Irene non ha nulla dell’arguta balia della mia infanzia remota, strappata alle montagne della sua Carinzia e messa a servizio a diciott’anni appena.
Irene è la mia ultima assistente alla regia, che – invece d’avviarsi a una promettente carriera teatrale – ha rinunciato a tutto (professione, vita privata, rapporti sociali, fors’anche all’amore) per occuparsi con una dedizione toccante, da sette anni ormai, esattamente da quando ho abbandonato le scene, di questa povera carcassa di vecchio dal respiro affannoso e dal passo vacillante.
«Ormai è estate» insiste il giovane medico, tradendo un’improvvisa venatura di siciliano nella voce, forse un’eco del rimpianto per la sua isola mediterranea.
«La casa è ampia e fresca, anche se siamo in città» tento di ribadire.
«Sono cinque anni che non torni a Valverde» osserva sempre da dietro a me Irene: vuole che l’altro ascolti, cerca di trovare con lui un’intesa solidale.
«Non conosco questa sua proprietà» incalza il dottore «ma quand’anche si trovasse nella più assolata campagna, l’aria sgombra dai miasmi della metropoli non potrebbe che esserle di giovamento…».
Come faccio a spiegare a questo giovanotto zelante che rimetter piede nella casa dei padri non è immune da qualche turbamento, può anzi innescare una prevedibile inquietudine? «E poi c’è il libro» forse ho trovato un buon pretesto «quella benedetta biografia, che tra non molto rischia di uscire incompiuta e postuma…». Tento di coinvolgere a sua insaputa Roberta, la giornalista che da più di un anno mi fa visita un paio di volte la settimana per un intero pomeriggio, con encomiabile ostinazione.
«Valverde è a una cinquantina di chilometri, Roberta è un’autista intrepida, non credo si rifiuterebbe di raggiungerci…» insiste Irene, che non sembra disposta a cedere.
«Temo di non potervi essere d’aiuto» abbozza non senza ironia l’isolano dottore. «È dovere del medico far presente al paziente i vantaggi di cui potrebbe godere. Sta all’interessato, e a lui soltanto, decidere sul da farsi. Se permettete…»
S’è alzato, ha richiuso la borsetta d’ordinanza e fa per avviarsi. «C’è uno scrittore francese del primo Novecento, Paul Léautaud, che ha scritto: “Tutto sta a diventare ottantenni. Poi basta lasciarsi vivere…”.»
Aggiungo indispettito alla citazione: «Io di anni ne ho ottantadue. Vorrei dispormi all’Aldilà senza ulteriori affanni.» Non so se mi prestano ascolto. Volgendo il capo, li scorgo confabulare sulla soglia tra salotto e ingresso. Il dottorino sembra rassegnato, Irene ha invece un’aria combattiva.