Gli autunni maturi
Gli autunni maturi
Profondo conoscitore e cultore dei classici ma appassionato di ogni forma letteraria contemporanea, si è giovato anche della sua professione di medico per stabilire un dialogo, anzi rapporti profondi con l’umanità e la natura nel suo complesso.
Ha pubblicato molti libri.
PRIMI VERSI
Di buon mattino
Fasciato nel sopore dell’argento
il mare giace molle e senza fiato
sul tavolato della sua stanchezza:
stanotte, con due lame di scogliera,
ha ripianato l’onde ad una ad una
e ha traghettato ai lidi del tramonto
il peso della luna. Il sole,
al suono mattiniero della sveglia,
ha trapuntato tutte le finestre
col firmamento rosso del suo grido
e ha spalancato un’alba di sbadigli.
L’arenile, brogliaccio di parole,
ha aperto le sue pagine di sabbia
alle scritture vaghe dell’amore…
Insonne abituale
io vado rimboccando alla risacca
i lembi sfilacciati delle spume…
Però stamani, incerto d’avvenire,
sui fogli riserbati ai sognatori,
deluso, che ci scrivo?…
Ho cuore solo per dimenticare!
Ecco, mi faccio ardito:
apro la busta della mia tristezza
e ci strangolo dentro il fiotto amaro!
Però… chissà se nella busta a sera,
verificando il polso della vita,
non ci trovi spezzato, con l’amaro,
il fiume intero
del sangue dolce mio…
Oh se questo sole…
…Oh se questo sole
me lo mettessi in tasca tutto intero
come un cerino sfuso, che al bisogno
mi sciogliesse dagli incubi e dal gelo!…
Che dire poi di quando la parola
si blocca nelle svolte del parlare?…
Lì servirebbe alla mia lingua un cuore
o un po’ di fuoco a farla ripartire…
Tutto il freddo del mondo è mio nemico!
Anche la neve, che su creste altere
dispiega palcoscenici di panna
e spande sventagliate d’allegria…
Sì, sì, lo so che questa è poesia…
ma nelle vene ce l’ho già da tempo
il fiore che mi piace…
Noto però con l’animo straziato
che il bello non mi basta… e non sto bene!
L’incudine del cuore
è muta di faville e d’ardimenti
e giace nel silenzio d’un cantuccio
come un’ombra di marmo senza storia…
Forse la vita mia
ha più bisogno di chiamate folli
e di estri un po’ vermigli e senza freni…
o, forse, di quei palpiti celesti
che irradiano il grigiore delle vene
e lo fanno di brace come il sole…
Sanguigna, io la vorrei, la vita mia
col senso pieno e rude e naturale
di ciò che è poi la terra fragorosa…
e non melensa, scarna e rattrappita,
senza un’alea di gorghi e di trambusti
e senza mai tempeste e colpi d’ala
in cima all’albeggiare dei pensieri…
Ma forse nei registri del dolore
manca l’identità del mio soffrire…
e se un disagio non è malattia
neppure il fuoco incenerisce il male.