Il collezionista di spaghi
Il collezionista di spaghi
«Sono nato in campagna in uno di quei casolari che tanti ancora oggi ricordano per le stanze di malta e pietra ampie e fresche, e i corridoi movimentati da scalini odoranti di cera. Ai tempi dei nonni era una residenza padronale al centro di un’ampia tenuta che mio padre dovette vendere per necessità economiche; lui stesso si mise a coltivare la poca terra rimastagli e ad allevare bestiame, riducendo a stalla alcune stanze.»
«Come morì suo padre?»
«Tragicamente. Quel mattino ero a scuola, lontano da casa e non seppi che dopo.»
«Cosa seppe?»
«Mi hanno detto che, mentre stava pulendo il suo fucile da caccia, un colpo gli esplose in faccia.»
«Si suicidò?!»
«Ero piccolo e non volli saperne di più. Un parente molto tempo dopo mi disse che era morto a causa di piccoli debiti da lui contratti a usura e non perdonatigli.»
«Ci fu un’inchiesta sulla morte?»
«Credo di sì, ma nessuno mi informò delle conclusioni. Io stesso non volevo sapere nulla. Volevo molto bene a mio padre e non facevo che piangere.»
«Ricorda sua madre?»
«Vagamente perché morì quando avevo solo cinque anni. Il babbo si risposò quasi subito e così sono stato allevato dalla matrigna. I due però vivevano per conto loro e io mi sentivo abbandonato. Per fortuna c’era la scuola in cui mi trovavo bene.»
«Che vuol dire che vivevano per conto loro?»
«Non si facevano mancare il vino e le imbandigioni specie dopo le battute di caccia di mio padre. E alla domenica andavano in città al cinema o alle fiere. Neanche mi guardavano.»
«Ma lei studiava…»
«Sì ero un bravo scolaro. Dopo la morte di mio padre la matrigna mi ha mandato in città a pensione da una sua sorella. Lì ho fatto le medie e il liceo, anche mantenendomi con piccoli lavori e borse di studio.»
«Tornava a casa?»
«Sì, per le vacanze, ma non ero contento: la matrigna beveva e sin dal mattino emanava un forte odore di vino e di liquori. Fra lei, nata in città, e la campagna c’era l’implacabile monotonia delle stagioni, il peso del lento mutare del paesaggio. Ogni anno, per sopravvivere, vendeva un pezzo di terra e contraeva piccoli prestiti.
Ricordo che un giorno d’agosto mentre leggevo sull’aia l’ho vista appoggiata a un covone con le mani congiunte sotto il ventre come sogliono tenerle le badesse in preghiera, le dita tra le dita un po’ ingrossate alle nocche.»
«La matrigna era presente nel momento in cui suo padre morì?»
«Molti anni dopo un parente mi disse che, essendo nella stanza vicina per eseguire dei lavori di manutenzione, al fragore dello sparo era accorso in cucina e lei era lì con le mani sul viso, inorridita. La testa del babbo palesava uno spaventoso squarcio dalla gola fin sotto l’occhio destro.
L’emorragia aveva imbrattato il mento, la bocca, il naso e colava sulla camicia atrocemente macchiata. Mio padre non era caduto ma stava abbandonato sul tavolo con la canna del fucile sotto la mandibola, quasi a sostenersi. Alle urla della matrigna arrivarono dei vicini che non osarono toccare il corpo esanime.
Dopo i rilievi del medico legale un’ambulanza lo portò via.
La sera, la matrigna aveva già cancellato il disordine, come si medica ad un male. Prima di portarmi a dormire mi passò un braccio intorno alle spalle, dicendomi: “ormai sei un uomo, e so che mi vuoi bene come lo hai voluto alla tua mamma, ma adesso dovrai volermene ancora di più, perché d’ora in poi questa casa avrà un gran bisogno di te”. Il volto stanco le si contraeva in un mesto sorriso la cui luce subito si spense quasi si fosse pentita delle sue parole. E infatti non molto tempo dopo mi allontanò da casa. Io comunque le giurai che avrei avuto cura di quel casolare come di lei.»
«Andò così?»
«Purtroppo no. Il tribunale dette ragione ai creditori e la terra andò a loro. Alla matrigna restò l’usufrutto di una parte della casa.
Molti anni dopo conseguita la laurea in medicina, ho cominciato il praticantato presso il medico condotto del paese vicino al mio.»
«Per oggi basta.»
Il sovrintendente Giansaverio Ippolito si alzò, facendo cenno alla guardia di riaccompagnarmi in cella.