Illusioni e delusioni del commissario Nicosia
Illusioni e delusioni del commissario Nicosia
Era sempre stato fedele alla moglie, il commissario Nicosia, e anche adesso lo era, nonostante la scappatella – molto ma molto segreta – che si accingeva a fare. Se lo ripeteva tra sé e sé, come se questo potesse essere di scusa alla sua colpa: colpa futura, per altro.
Ma dico, signori miei, che male c’è se un povero disgraziato che lavora tutto il giorno a fare il commissario di polizia, per una volta, l’unica nella sua vita, ha una breve, piccolissima avventuretta con la procace, anche se non più giovanissima, segretaria del commissariato?
Ed inoltre era stata lei, sì, proprio lei, la signorina Maddalena Caccamo – nome promettente, anche se il cognome lasciava un po’ a desiderare – ad avere combinato tutto.
Durante l’inverno era rimasta nascosta non si sa dove, forse sotto al cappotto; ma a primavera era sbocciata all’improvviso lasciando fiorire, e fuoriuscire, due seni prorompenti dalla generosa scollatura dell’attillatissima maglietta. E quella mattina, forse notando lo sguardo inebetito del commissario Nicosia, polarizzato un palmo sotto al suo mento, gli aveva dato orario e indirizzo – via Catania 17 – per poter prendere assieme, in dolce intimità, un tè caliente. E adesso il commissario, mentre aspettava l’autobus n. 42, caliente si sentiva davvero.
«Che fa, commissario Nicosia, l’autobus aspetta? Non adopera la macchina di servizio?»
Nicosia trasalì. Qui la sua segretezza cominciava a fare acqua perché l’odiato – almeno da quel momento in poi – appuntato Pippo Trabuto era lì, alla stessa fermata, e, pronunziando il suo nome ad alta voce, ammiccava sornione, con quei ridicoli baffetti alla Hitler che vibravano ironicamente.
Che diavolo ci faceva lì, proprio a quell’ora? Forse, senza parere, lo stava pedinando? Il commissario fremette di rabbia, facendo a sua volta vibrare i suoi baffoni alla Stalin, ed inventò una scusa evasiva:
«Un’ispezione devo fare; in incognito sono. Sta’ zitto e non intralciare le indagini.»
La voce del commissario era stata professionale e perentoria, ma i baffi dell’appuntato non se la dettero per intesa. E l’attesa si protrasse ancora per lunga pezza.
Finalmente ecco l’autobus numero 42: mai un numero, neppure nelle estrazioni del lotto, era stato bramato così intensamente.
«Ma che fa, commissario Nicosia; questo il numero 42 è; al Brancaccio va. Forse lei sta sbagliando autobus» e la voce di Trabuto sovrastò il chiasso fatto da un folto gruppo di bambini in gita scolastica che, accompagnati da due giovani maestrine, si precipitavano sulla vettura dietro a Nicosia sospingendolo in avanti ancora con il biglietto in mano, senza dargli il tempo di timbrarlo.
Il commissario, arrivato in testa alla vettura con il suo ticket intonso, considerò che l’inconveniente gli tornava comodo perché il solo biglietto in suo possesso, se timbrato, non poteva essergli utile anche per il ritorno, superato – come sperava – il tempo di 75 minuti.
Ma proprio mentre lo stava rimettendo opportunamente in tasca, la solita odiata voce risuonò dal fondo dell’autobus, chiara e nitida nonostante il trambusto dei trenta scolaretti:
«Commissario Nicosia, non si preoccupi; dia il biglietto a questi ragazzini, così me lo passano e glielo timbro io. Capirà, se la beccano senza biglietto, che figura ci facciamo noi del terzo distretto di polizia?»
Dannato Trabuto, ci mancava solo che aggiungesse le generalità e poi tutti avrebbero saputo tutto di lui.
Obtorto collo consegnò il biglietto, sua unica chance, al ragazzino più vicino; questi lo prese e, mentre lo passava al compagnuccio subito dietro, alzò un ditino in segno di rimprovero, dicendo:
«Eh, eh, commissario Nicosia» e tutta la masnada ripeté lo stesso gesto, scandendo ritmicamente:
«Eh, eh, commissario Nicosia.»
“Ecco” pensò il commissario “adesso ho almeno 50 testimoni che possono affermare, senza ombra di dubbio, che il commissario Nicosia, del terzo distretto, alle ore 16 e 47’ in punto, si stava recando, non si sa per quali motivi – almeno questi rimanevano per il momento segreti – al quartiere Brancaccio”.
«Ma lo sa, commissario» tuonò la voce dell’appuntato dal fondo dell’autobus «che abita al Brancaccio anche la signorina Caccamo? sì, Maddalena Caccamo, quella…» e Trabuto mise, al di sopra della testa dei ragazzini, le braccia ad arco attorno al proprio torace, in segno inequivocabile, «sì, quella; ce l’ha presente?».
«Ce l’ha presente; ce l’ha presente» scandivano sempre ritmicamente gli scolaretti, inutilmente zittiti dalle due purpuree maestrine.
Nicosia, grugnendo, si girò dall’altra parte e, sottovoce, chiese al conducente:
«Può avvertirmi quando arriviamo in via Catania?»
«Come?» urlò l’autista porgendo l’orecchio.
«Via Ca-ta-nia» cercò di sillabare il commissario, sempre a bassa voce.
«Ah, via Catania» tuonò il conducente, al di sopra dell’urlìo dei bambini «e parli più forte; ha paura di farsi sentire?».
Il commissario Nicosia incassò la testa nelle spalle aspettando, come una mazzata, la nota voce che, puntualmente, arrivò:
«Via Catania? Ma che combinazione! Anche la signorina Caccamo, sì, Maddalena Caccamo» e qui Trabuto ripeté l’eloquente gesto, «abita in via Catania. Commissario Nicosia, lo sapeva?».
«Lo sapeva, lo sapeva» cantarono ritmicamente i ragazzini, che ormai prendevano parte al dialogo come il coro in una tragedia greca.
Nicosia cercò di non alzare lo sguardo sulla sorgente di quella maligna insinuazione, ma non ci riuscì; una palpebra gli si sollevò e la pupilla gli cadde sul viso sornione ed i baffetti vibranti dell’appuntato Trabuto. Il commissario chiuse gli occhi per non vedere più nulla, ma nella sua mente due immagini si sovraposero ed il sorridente viso di Maddalena assunse, sotto al naso, due ombre scure a forma di baffetti.
«Commissario Nicosia» lo chiamò intanto per nome – visto che era ormai familiare a tutti – il conducente «scenda pure perché questa è via Catania».
Nicosia con un balzo fu fuori dall’autobus e con un sospiro di sollievo cercò con gli occhi l’appuntato Trabuto per vederlo, finalmente, allontanare dalla sua vista e dalla sua vita.
E lo vide, effettivamente, spenzolato fuori dal finestrino della vettura mentre, salutandolo, gli indicava col dito, un portoncino all’angolo della strada.
Il commissario girò gli occhi a quella indicazione ed il suo sguardo incontrò il numero civico 17 di via Catania.
L’uomo fremette, si chiese per un istante cosa fare, poi, abbassata sconsolatamente la testa, ed ogni altra velleità, attraversò lentamente la strada e si mise in attesa alla fermata dell’autobus di ritorno.
I 75 minuti non erano passati ed era dunque ancora valido il suo unico biglietto.