Inedito per una passante
Inedito per una passante
Ascoltami amore
Ascoltami amore
sotto il terrapieno di vita
per le siepi le stelle
nell’umido più giù
dormono i poeti:
solo un tum tum
e violette rigonfie
prese nude
alla rossa terra
getta le ginestre ti prego
e chiudi gli occhi
intorno credimi è solo vagare.
mie care mani ora limpide
mie care mani ora limpide
ora vuote come la giovinezza
grembo del mio grembo
io non ti tocco no
né l’abisso né l’anima.
Ed ecco arriva la passante
Ed ecco arriva la passante
con la sua lunga ombra
poteva l’assoluto
l’appendiamore tesoriere
posare in veglie –
non ai miei occhi
i miei cento scrigni
la faticosa –
come mai ti imprimi.
Una lettura di Loredana Magazzeni
La presenza del bene, nella forma dell’amato o dell’amata, ma anche della terra centroitalica natale, entra nei versi esclamativi di Dale Zaccaria, che anche nella perdita è, come Marina Cvetaeva, come Anna Achmatova, forgiatrice di presenza. La sua parola plasma e dà forma, ed ecco dispiegarsi ai nostri occhi sentimenti e figure evocati con parole tangibili e carnali (i capelli, il grembo del mio grembo), parole terapeutiche che risanano e rimettono in moto amore e perdita, come i poeti sanno fare, ciascuno a suo modo. Non elegie ma canti, dunque, quelli di Dale, come il “Canto per Malai Joya”, ritmati e sincopati, carichi di accenti e di una energia performativa che l’autrice dispiega al suo massimo nelle letture ad alta voce.
Se c’è uno strumento che può accompagnare questa poesia, questo strumento è il tamburo, il tamburo africano che batte il cuore della madre-terra, il tamburo evocato da un’altra poeta sorella di Dale Zaccaria, l’umbra Anna Maria Farabbi. “Per questa terra camminano/ ballano s’inseguono le ombre”, ombre che “custodiscono parole come si conservano i misteri e i bisbigli delle Sibille. Di Dale Zaccaria, della sua parola fervente, fertile come humus, sentiremo ancora parlare, il suo lavoro è come lievito che gonfia l’umida terra: “ Ascoltami amore/ sotto il terrapieno di vita/ per le siepi le stelle/ nell’umido più giù/ dormono i poeti”.