La cena del tacchino

La cena del tacchino

copertina
anno
2007
Argomento
Collana
Categoria
pagine
168
isbn
978-88-8176-917-9
13,30 €
Titolo
La cena del tacchino
Prezzo
14,00 €
ISBN
978-88-8176-917-9
nota
Miglior lavoro del Corso di scrittura creativa dell'Università di Siena
Questo romanzo, scritto dall’autrice direttamente nella sua seconda lingua, incrocia la microstoria e la macrostoria di due continenti. La voce della protagonista fa scorrere senza soluzione di continuità situazioni di un passato recente e di uno remoto. Insieme c’è lo sguardo della nuova generazione, l’incontro di mondi e modi distanti nel concepire il proprio destino, come in un’arca della memoria dove, sospesi tra la speranza e l’attesa, si cammina a fianco della vita e della morte.
 
 
 
Lily Prigioniero è nata nel 1958 a Detroit, nel Michigan, dove si è laureata in Lettere. Ha lavorato a Chicago e si è poi trasferita in Italia dove vive nella campagna toscana. A Firenze insegna scrittura creativa e restauro a studenti universitari di lingua inglese e in vari centri di salute mentale.

Incipit

Gino è stato sepolto oggi. C’era mezzo paese al cimitero ed una folla come il giorno dei morti. Pioveva e cercavo di non guardare la gente intorno, sotto gli ombrelli. Pensavo alla mia famiglia lontana: pensavo ai miei nonni, due sepolti a Detroit, lontani l’uno dall’altro, in un cimitero così enorme che non saprei nemmeno dove cercarli su quella carta deteriorata piena di numeri all’ingresso. Gli altri miei nonni sono sepolti vicino Napoli. Alcuni zii hanno le ceneri sparse non so dove nella penisola del Michigan, una cugina sepolta a Treviso, bis nonni in Abruzzo, e vari antenati in su e in giù, di qua e di là dall’Atlantico. I funerali mi fanno sempre riflettere su dove sarò sepolta io.
Renato ha tutti i suoi cari lì nello stesso cimitero a Rapolano, vicino Siena. Facile. Dice: «Alcita ora è qui, vicino alla mamma. Lo zio è quaggiù, e di fronte c’è la nonna. E qui, nella fila accanto, c’è la zia. Guarda quassù – nonno Giusto. Mi assomiglia, non credi?»
I cugini di Renato vanno sempre ad aggiungere fiori a tutti quelli di famiglia. Trovo quest’abitudine umile e confortante. Le abitudini portano sempre un po’ di tranquillità, anche se è solamente per mettere un fiorellino sulla tomba dopo la passeggiata domenicale.
Ma io, dove vado? A quale posto appartengo? Cosa c’entro io in quel cimitero? Che cosa mettono lì, sulla mia tomba? Forse, “Roselyn nei Menci”, e diranno: «Sai, quella straniera con l’accento come Stanlio ed Ollio – te la ricordi? Ma dai, ha avuto due figli con Renato, lo vedi lì Renatino, sotto il nonno – spiccicato a lui, non credi?»
Una mia vecchia amica del Michigan si è comprata un posto su una navetta spaziale, insieme a suo marito, così quando moriranno, le loro ceneri insieme a un pezzo di pelle seccata andranno in giro per l’universo, vagando in un tempo eterno, o forse incapsulato, sperando che nel dopo-vita una forma di intelligenza li ritrovi per clonarli. Sono andati in Florida alla base spaziale apposta per comprare un paio di posti a scelta. Forse ci sarei potuta andare anch’io se avessi seguito i suggerimenti della mia amica e investito nella Time-Warner al momento giusto. «Non ci vuole molto, Roselyn», mi disse dopo laureata. «Un paio di migliaia di dollari e frutteranno più che nel conto corrente. Prometto…»
Mi devo rassegnare: i vivi mi metteranno dove capiterò – basta che io non crei tanti problemi. Anni fa, quando ero incinta, andavo a dipingere alla casa-scuola nella campagna fiorentina del mio maestro d’affresco, Leonetto Tintori. Elena, sua moglie, era con me nella stanza luminosa di pittura all’ultimo piano, e mi mostrava i colori nelle colline come una poesia; i tetti delle coloniche di fronte spiccavano di rosso ossido e i cipressi di verde rame. Lei aveva captato la mia nostalgia quel giorno; mi toccò la pancia e disse che la vita continua, i vecchi muoiono, e i bambini nascono – sarà sempre così, in tutto il mondo, non importa dove siamo.
Leonetto stampò una collezione di scritte ed incisioni nel suo “autoritratto”, e quel giorno che mi vide emozionata fra le braccia di Elena, me ne regalò una stesura originale, leggendomi la prima pagina ad alta voce:
Ramo secco. Non ho figli. E non posso vantare una genealogia illustre con antichi progenitori noti… Breve trascorso di generazioni in attesa di assolvere consueti doveri.
Ramo secco disposto ad ardere e diffondere calore.
Leonetto, nel giardino dietro casa, aveva creato la sua tomba a forma di un’enorme arca di Noè, in ceramica, con animali colorati che spuntavano sopra, in un viaggio “Dellarobbiano”. L’aveva fatta in modo che ci si potesse entrare, da sotto la pancia della nave. In terra c’erano le maioliche, fatte da lui, con le impronte dei suoi piedi e quelle di Elena che, incrociandosi, andavano a finire a due sue sculture in ceramica rappresentanti lui e lei, vuoti, con le fiamme in ceramica dentro. Alle loro spalle c’erano due piccole urne –sempre in ceramica– a forma di navetta, con il loro nome e codice fiscale incisi su ciascuna.
La prima navetta la riempì Elena con le sue ceneri, e dopo un po’ di anni, anche Leonetto se ne andò. Prima che il comune chiudesse la casa e il loro giardino (avevano donato tutto al paese fuori Firenze per farci un museo), andai per mettere dei fiori selvaggi nell’arca di Elena e Leonetto. Ero entrata tante volte con loro da vivi, chinando la testa al cancellino d’ingresso per poi trovarci nella pancia della nave; ma quell’ultima volta che entrai da sola mi sentii un senso d’appartenenza. In qualche modo era un po’ casa mia lì, perché loro mi avevano guidato da vivi, facendomi vedere i loro colori, le loro tecniche, i segreti dei vecchi maestri. In quel momento, senza la loro presenza fisica, mi avevano fatto ridere di nuovo leggendo quei codici fiscali. Le maioliche sussurravano sotto i miei piedi, sulle impronte dei miei maestri, ed emettevano il gran senso d’umorismo di Leonetto e il blu trasparente degli occhi d’Elena.
Forse me la faccio anche io una cosa simile, con il mio codice fiscale italiano ed anche quello americano. Forse lo potrei mettere in un angolo del nostro giardino, là dove invece Renato vorrebbe fare il barbecue – magari non in ceramica, ma posso farlo in muratura con qualche affresco. A quel punto, se dopo morta farò parte della mia arte, non importa dove io sia. Elena mi disse che l’arte non ha confine.
«Forse è meglio il barbecue», Renato mi suggerisce con apprensione. «Che ne dici? Non è meglio andare in quell’angolo per fare due bistecche?»
«Allora dove mi metterai?»
«Ma che ne so – che ti sei messa in testa ora, Rosalina? Andiamo. Ti va una bella pizza?»