La passione della distrazione
La passione della distrazione
Paolo Volponi, dopo aver letto alcuni di questi racconti, aveva scritto: “Non ammettono una posizione esterna di confronto, dalla quale si possa giudicarli belli, brutti, convincenti o manchevoli: impongono in modo totale la necessarietà della loro composizione e l’obbligo del loro andamento. È necessario ciascuno letterariamente a se stesso, come a ogni altro della raccolta, per le stesse esigenze superiori della letteratura”.
Tommaso Di Francesco è nato a Roma dove vive e lavora nella redazione del quotidiano “il manifesto”. È un poeta, prestato alla prosa perché coinvolto nella responsabilità di raccontare il reale estremo. Ha pubblicato molti libri di poesia, ma anche di narrativa e saggistica.
Incipit
Cantaride
Che ne sappiamo noi dei gemelli? Quasi nulla, anche se la scienza pare sappia tutto. Tutto. Ma io ho conosciuto gemelli strani e gemelli normali. Il gemello che ha studiato per anni il modo di eliminare l’altro e quello che muore, a centinaia e centinaia di chilometri di distanza, pochi giorni dopo che l’ha raggiunto la notizia che il fratello è spirato, per semplice mancanza d’aria, tra le braccia della madre. Due gemelli omosessuali, anche fra loro, e altri uomo e donna, in odio su tutta la famiglia. Gemelli scambisti-ferrovieri alla stazione di Torricola, e gemelli in cui la divisione del lavoro ha tracciato disuguaglianze nella carne, nel colore degli occhi, nella lunghezza del naso e serenità delle mani. Gemelli che amano e leggono lo stesso poeta maledetto e quelli analfabeti, delle tante famiglie analfabete delle piane di fiume, che hanno inventato fra loro un’altra scrittura: i rami spezzati in un certo modo tra i filari di viti, i segni convenzionali del cucito, dei fili, sugli abiti, per le distinzioni.
A questo pensava Alessio, mentre con Vittorio, il fratello gemello, sul grosso Tir 21 guidava intontito dalla strada, dalle macchine che a migliaia avevano incontrato i suoi occhi abituati e stanchi. L’abitacolo di lamiera e vetro della guida li racchiudeva come un fatto di sangue. Tutto in ordine, con un odore nuovo, di fabbrica. Il cruscotto, la guida, il portacenere sempre pieno. Lo specchietto retrovisore. E gli occhi intorno e davanti, sull’esterno. Ogni cosa li conteneva come nel ventre materno, entrambi inseparabili l’uno dall’altro. Il piccolo lettino per i riposi necessari, dietro, quasi nascosto, durante i lunghi viaggi di giorni, di notti. Il lettino richiamava gli ambienti di casa che ogni volta lasciavano con dolore. Ma quella non era l’unica cosa che ricordava i rapporti familiari. L’abitacolo-ventre era pieno d’oggetti “pensa a me”, foto di ciccio e ciccia, nonno, mamma e papà. Erano le icone che avevano attaccato sopra le foto della Madonna, anche se nessuno dei due credeva a questa santità. Piuttosto, nei lunghi viaggi avevano bisogno di un’autorità che riconoscesse il valore delle loro azioni. Sulla parte sinistra dell’autotreno sporgeva la Madonna, o S. Rita da Cascia e, sopra tutte, le foto dell’album di famiglia. Questo sulla parte sinistra. Sulla destra le icone erano diverse, anzi l’opposto, e spiegavano la vera religione a cui apparteneva Vittorio. Una stupenda donna nuda, spesso con tutti gli attributi sessuali bene in mostra, contraddiceva la Madonna a sinistra. Da tempo Vittorio era un assiduo lettore pornografico. Nei lunghi viaggi non era solo l’autorità a mancargli. Qualche altra cosa sfuggiva e volevano. E lui più di Alessio. «Guarda qua, guarda questa e quest’altra come succhia», gli illustrava il paesaggio umano delle riviste e lo invitava ad usarle. Solo in canna, Vittorio era così meno solo.