L'albero delle teste perdute
L'albero delle teste perdute
Un conto è sentirsi dire che fra i tuoi antenati non ci sono nobili. L'altro conto è scoprire che discendi da uno che faceva rotolare le teste nel paniere.
Carlo Maria, venticinquenne aspirante archivista appassionato di genealogie, viene ingaggiato da una famiglia di setaioli per tentare di stabilirne la discendenza nobiliare: sarebbe bello avere uno stemma nel logo dell’azienda...
Ma quello che scopre Carlo Maria non è un antenato nobile, bensì una parentela in linea diretta con l’ultimo boia di Torino, che durante l’era napoleonica giustiziò oltre cinquecento condannati a morte.
Se non è proprio un aristocratico, anche questo progenitore però può diventare un’operazione di marketing!
Carlo Maria entra a far parte della squadra, un po’ scalcagnata, del setificio Brusapaglione: c’è il furbo capostipite, detto il Boss, i figli Sebastiano, che tenta di conquistare la stima paterna, e Valentina dall’animo artistico, la segretaria Irene, di cui il protagonista si innamora.
Finché non vien fuori un altro ultimo boia.
Vari i tentativi di suscitare scandalo: una performance sulle condizioni di lavoro precarie del boia, i foulard con le stampe di Maria Antonietta, i tatuaggi buoni per i selfie, la partita del cuore tra fautori della ghigliottina e quelli della forca, in un’Italia con una percentuale non bassa di cittadini favorevoli alla pena di morte.
Tra le pagine, anche la storia d’amore tra Carlo Maria e Irene, che cresce nonostante l’imbranataggine del ragazzo; la sua mamma manager, che lo vorrebbe un sano maschio tatuato invece che un topo di biblioteca; una coppia di designer di gioielli con pochi scrupoli; le ricerche di archivio sulla Torino napoleonica.
Gambarotta costruisce un romanzo che è satira dei costumi, quelli legati al marketing, alla politica, ai social media, facendoci divertire e riflettere.