L’incidente del carretto
L’incidente del carretto
È da un po’ che mi è presa questa ossessione di vedere il mio cognome inciso sul granito. Così, una mattina di gennaio, con la brina che attraversa la stoffa che dovrebbe riscaldarmi, ho percorso la strada che porta a Castillon, il paesino dei nonni. Ho spinto il cancello tremando, in un mix di freddo e di nervi troppo tesi, come sempre. Lo scricchiolio dei sassi, che scandisce ogni mio passo, mi dà l’impressione di disturbare il riposo di tutti questi amici, fratelli e madri compianti. Scopro metodicamente ogni epitaffio, alcuni velati da muschi e licheni, altri cancellati dal tempo. Ho messo la mano sopra una tomba. La pietra gelata ha assorbito il calore delle mie dita. Ho percorso tutti i viali, qua non c’è nessuno che porta il mio cognome. Rimangono queste piccole zolle di terra delimitate da quattro assi, che non recano né fiori, né rimpianti, e che custodiscono i loro misteri: chi può esserci là sotto? Brava gente per la quale la morte non ha cambiato nulla, che di fronte alle tombe di marmo continua a tacere nell’umiltà?
I miei nonni erano tra loro?
Può sembrare strano però l’unica cosa che sapevo era la loro origine, italiana, e il nome di questo villaggio dove avevano vissuto. Erano contadini, morti di un incidente di carretto e nulla più. Del resto non avevo nemmeno cercato di saperne di più, fino ad oggi. Come si poteva morire in un incidente di carretto?
Prima di venire qui avrei dovuto chiamare mio padre. Perché non l’avevo chiamato? Perché ogni volta che l’argomento si presentava rispondeva:
«Sono morti di un incidente di carretto.»
«Ma dove esattamente?»
«A Mouliets.»
«E quando?»
«Durante la guerra.»
E il tutto finiva lì, ogni volta. Per cambiare la musica dell’organetto di Barberia, che avevo sempre sentito con lo stesso ritornello, richiedo a mio padre su quale tomba va a portare i fiori ai suoi genitori il giorno della festa dei defunti.
«Non so dove sono seppelliti. Si va a Saint Magne, per la zia.»
«Ma i tuoi genitori?»
«Non so dove sono.»
«E in tutti questi anni?»
«Non posso dirti di più.»
«Chi? Chi potrebbe sapere?»
«Non lo so, forse Tersilio?»
«Nessuno sa dov’è questa tomba?»
«Io non lo so. Sai, era la guerra…»
Alla fine, quando pronunciava questa piccola parola, io avevo imparato a tacere. Era il muro che i miei genitori avevano costruito per nascondere il loro dolore, e nessuno di noi voleva violare questa frontiera.