L’uomo che ha sempre altro da fare
È un uomo che, quando ti serve un aiuto, ha sempre altro da fare. Quarant’anni, magro e storto, cranio rasato a palla, non sta fermo un momento. Come capisce che vuoi chiedergli qualcosa, ti volta la schiena e fila veloce in altre stanze, picchia i gomiti sugli spigoli, ha ematomi dappertutto. La moglie: «Gino, scendi a comprare il pane.» Lui: «Ho altro da fare.» Se quel mattino l’ha detto e ridetto, cambia versione: non ho tempo, sono molto occupato, oppure: «Non vedi cosa sto facendo?» Questa è la scusa se smania per qualcosa di veramente importante, tipo estrarre un prezioso francobollo dall’album ereditato dal padre. In quel caso Vittoria corre ad aiutarlo perché lui è affetto da una malattia nervosa, stropiccia i polpastrelli, schiaffeggia l’aria, i giornali, anche una guancia se gli capita a tiro e tutto questo soffiando come un pugile che si allena al sacco. Guai se uno di quei rettangolini venisse rovinato, sarebbe un mese in meno di affitto, cibo, vestiario e spese di gas luce e telefono. La donna prende le dita elettriche fra le sue e quando le sente più tranquille chiede: «Che bollo vuoi?» Il marito batte l’indice su quello scelto, poi il medio, l’anulare e via di seguito, veloce come un pianista veloce, ma il foglio di plastica che copre la pagina gl’impedisce di distruggere il tesoro. Vittoria si mette fra il marito e l’album, estrae il francobollo e lo consegna al Conciarelli, il filatelico che dà loro da vivere.
A Gino il tirchione non piace. Brutta rana acquattata in uno studio che ha il disgustoso odore della colonia da quattro soldi. Se chiede come stai e rispondi «bene, grazie» ti domanda «veramente?». La pretesa d’essere elegante, il trucco visibile di dire una cosa pensandone un’altra, il dente rotto quando schiude le labbra per un sorriso sbilenco. Così tocca a Vittoria discutere sul prezzo, lui l’aspetta fuori masticando una cicca, spalmandola sulla targa di ottone. Incassato l’assegno i coniugi portano una rosa sulla tomba di papà. L’album contiene ancora centinaia di mesi assicurati, dodici-quindici pezzi l’anno moltiplicati per tutti gli anni avvenire e anche più. La gente si chiede di cosa vivano i due, non fanno niente tutto il giorno, eppure guarda come sono ben vestiti e ben pasciuti. Quando si sente ricco Gino frequenta la famosa Gastronomia Bellamente che ha cinque lampadari di cristallo e cinque salumieri in camice bianco addestrati a salutare con inchino. Porta a casa delicatezze avvolte nella carta gialla e nera arcinota in tutto il quartiere, sale le scale tenendo con due dita il fiocco del pacchetto che oscilla disturbando la vista e l’umore di chi ha solo minestra. Ostentare lo diverte molto, salvo pentirsi ogni volta, l’invidia diventa odio, desiderio incontenibile di possedere i beni altrui, cioè il tesoro che gli assicura pranzo e cena. Per questo lo cela sotto due mattonelle tenute ferme da una zampa del pesante letto rococò. Due volte al giorno solleva la zampa rischiando un infarto, tocca con dita frementi le mattonelle e sorride sentendo che si muovono un poco, molto poco ma quanto basta.