Andrea Angelucci è nato nel 1959 a Fano dove vive. Ad Urbino si è laureato in Lettere classiche e ha svolto la tesi di Dottorato di Ricerca in Filologia greca e latina.
È docente di Lettere presso il Liceo scientifico “Marconi” di Pesaro. Questo è il suo primo libro di poesie.
Primi versi
Vestire
la pelle del nemico
Vestire la pelle del nemico
tutelarsi da ogni cambiamento di fronte
porsi di fronte al buio
come a territorio familiare.
Tenere nel pugno il vasto reale,
chiudere in una cella l’uragano
delle forme, porre nel palmo ferrato
sbuffo di nuvola e volo di drago in miniatura:
questo significa
ridurre a formule elementari,
ossia neutralizzare con rapida
etichettatura
il disagio che nasce
da diverse attitudini diverse da sé,
coprire e vestirsi
col mantello nero
per paura del sesso materno,
del volto sconcertante del moderno.
Ma il bambino
è destinato all’evento!
Chiudere affrettatamente
la cella a due scomparti,
far rientrare l’aria
in una rigida contrapposizione binaria
con inevitabile azione di sfrondatura:
questa non è la via della natura,
rigide forme
precludono il cammino.
Ripetere una formula fino a spianare le grinze del cervello:
è questa una forza della natura?
Disconnettere a forza
certe funzioni del proprio sé:
non è questa violenza?
Meglio lasciare che le foglie cadano
che l’autunno geli le mie braccia!
Chiudere nello scrigno l’angoscia dell’impatto
con i primi occhi vivi:
questa è la sorgente delle fortificazioni interiori
per cui merli e manieri, rocce fortificate
soppiantano il dolce battito del cuore.
Dare parole al drago,
offrire vocali al mostro
non permettere che il silenzio
scenda sul silenzio,
attendere affacciati
che torni primavera.
Alitare con forza nel mattino
espandere di vapori
nell’aria la persona.
Consolidare con atti quotidiani
la struttura che s’incavalca sopra
l’essere, come fiume sotterraneo
che cerca l’abisso. Paventare in ogni
modo la lingua del fondo perché
questo significa aprire le porte
dell’inconscio
ad un turbine di forme.
Collegare un ponte per il sé: il miraggio
di un dialogo silenzioso.
Come un diaframma d’alba
sospinto dal vento sull’Ardizio,
si offre la realtà vera,
divina: è il pianto
la porta di tutte le cose.