Senza francobollo
Nel 1996 ha pubblicato L’esordiente (Alberti & C. Editori), che ha vinto il Premio Tobino narrativa inedita ’95.
INCIPIT
Egr. dott. Stiti,
Come esprime il titolo si tratta della storia del rapporto fra una faina e la sua dentiera. Eventi colloqui incontri personaggi e colpi di scena sono l’anima del romanzo; il lettore viene risucchiato riga dopo riga, ma vediamo in dettaglio.
Fidinfidina è una faina ultra sessantacinquenne che vive nel paese di Calonia in una casetta di due stanze. Sta bene ma da un po’ di tempo ha noie ai denti. Ha una paura matta del dentista (come molti di noi del resto) anche perché il suo dentista è un ghepardo dai modi bruschi e dagli onorari assai alti (a proposito dovremo parlare anche di quelli. I suoi intendo, e non dica di lasciar stare perché il suo disturbo va pagato. Insomma il tempo che perderà andrà valutato. Non voglio neanche farle un regalo perché poi, si sa, si finisce per comprare cose inutili e costose e non si accontenta nessuno). A proposito, rischiavo di dimenticarmi… che nel caso lei decidesse (e spero proprio di sì!) di accettare, sarebbe simpatico terminare la serata insieme io, lei, l’editore e i miei amici più stretti (per intendersi quelli che hanno partecipato da vicino al mio evento narrativo) in un locale per un congedo conviviale. Che ne direbbe se andassimo tutti insieme a “La Lisca di pesce”? È una trattoria dove si sta bene, non si spende tanto (lei è mio ospite, è naturale!) e fanno del buon pesce fresco cucinato in tutti i modi. Non si preoccupi per il nome del locale, le pietanze sono più che abbondanti! Son stati solo un po’ burloni a chiamarlo “La Lisca di pesce”, già, perché qualcuno ha pensato che servissero soltanto lische di pesce. Ma torniamo al romanzo, e come dicevo, il dentista è un ghepardo. Un bel giorno Fidinfidina, che ricordo è una faina, si decide a consultarlo a causa dell’aumento del dolore, maggior frequenza degli ascessi, difficoltà a masticare e così via. Il ghepardo formula bruscamente una diagnosi infausta: i denti ormai, data l’età, sono tutti irrimediabilmente “bacati” (lui dice proprio così presentandosi quindi come personaggio sgradevole e con un linguaggio assai poco professionale), le otturazioni risultano tecnicamente impossibili. «In questa bocca non c’è nulla da salvare.» Così dice e ancora:
«L’unica soluzione è toglierli tutti e sostituirli con una bella dentierina…»
Ora, si sa, la dentiera non è cosa facile per nessuno da digerire, figurarsi per un animale. Un predatore come la faina. Abituata da sempre a farsi giustizia con i denti anche se ormai in fondo certe caratteristiche più naturalmente belluine nel mio romanzo gli animali le avevano in parte perse. La diagnosi inappellabile di dentiera risulta un vero colpo per la faina che per di più si trova di fronte un dentista macellaio, completamente all’oscuro delle più semplici tecniche relazionali. Per lui l’accoglienza del paziente, il modo di fornire la notizia, la comprensione empatica erano orpelli che sottraevano soldi e basta. Ruminava in continuazione a testa bassa il ben noto «il tempo è denaro». Insomma un vero e proprio cavadenti.
«Non c’è nulla da fare, non insista, qui non se ne salva uno di questi denti. Ma in quattro e quattr’otto glieli levo. E glieli rimetto finti. Così le costa anche meno piuttosto che queste tecniche moderne. Ho deciso che gliene leverò quattro alla volta. Ci vediamo martedì alle quattro.»
Fidinfidina si sente morire, ma a quel punto non c’è altro da fare che sottoporsi alle paventate estrazioni. Cerca consiglio anche dal farmacista, dal parroco e poi da un’amica con cui è solita dividere il tempo libero. Va infatti a ballare il liscio il sabato alla Casa del Popolo. Tutti le dicono che è più sano proprio “togliersi il dente” subito. E così dopo tanti giorni di patimenti per le punture dell’anestesia e di dolorosi gonfiori per le estrazioni, finalmente viene il momento della presa delle impronte per la preparazione della dentiera. Intanto Granti, il dentista, a cui ho dato un nome che somiglia a Franti del celebre Cuore di De Amicis (questo ghepardo è indubbiamente violento, ha in sé qualcosa di crudele, e io appartengo a quelli che ancora ritengono Franti uno dei personaggi letterari più malvagi nonostante i numerosi pareri contrari), prende le impronte, costringendo Fidinfidina anche a ben cinque viaggi per le numerose correzioni, e un bel giorno (si fa per dire) la dentiera è finalmente pronta cosicché Granti gliela caccia bruscamente in bocca. Purtroppo però la sensazione del corpo estraneo, l’avvertire l’artificiosità dei denti, denti comprati, costruiti da altri, è talmente sgradevole che Fidinfidina, con un improvviso conato di vomito, risputa fuori la dentiera che va a mordere inaspettatamente il naso del suo dentista. Uno spiacevole incidente, tutto qui. Ma Granti lo prende come un affronto personale, qualcosa di offensivo diretto a lui. Come se si fosse sentito profondamente umiliato nella sua professionalità. A Fidinfidina scappa da ridere, il dentista si agita e la dentiera gli si conficca sempre più sulla carne rendendolo ridicolo come mai si era sentito. Furibondo Granti corre allo specchio per allentare la presa ma la dentiera sembra murata. Il ghepardo butta giù il palazzo dai ruggiti:
«Faina levati di torno sennò t’ammazzo! Faina scappa che ti divoro! Faina sparisci perché ti scuoio!»
Fidinfidina scappa per i corridoi dello studio e Granti dietro all’impazzata, a fauci spalancate vorrebbe ingoiare Fidinfidina, viva e cruda. Una quasi tragedia sedata per miracolo dal meccanico dentista (non mi piace il termine “odontotecnico”), un orso, che riesce a liberare il naso di Granti e a riportare un accenno di calma. Alla fine Granti con l’affanno per la corsa e la rabbia dopo una sfilza di bestemmie guardando Fidinfidina negli occhi:
«Non voglio neanche esser pagato! Fila via con quella dentiera! E seppellisciti all’inferno!»
L’orso strizza l’occhio alla faina come per dire di prendersi la dentiera e di andarsene.
Io spero di non annoiarla ma mi è parso opportuno esporle in breve la trama del romanzo così da anticiparle a grandi linee il contenuto. Mi permetto quindi di proseguire. Fidinfidina torna a casa con la sua dentiera con cui comincia ad aver subito un pessimo rapporto. Ogni volta, infatti, che la mette in bocca, quel senso di nausea che prova nel guardarla si trasforma subito in vomito. La dentiera viene quindi regolarmente risputata ora su una bottiglia, ora su un quadretto, ora sullo specchio e così via. Dopo neanche un minuto. Ogni volta la stessa storia. Lei sempre più livida di rabbia, un attimo dopo il vomito sbatte l’uscio e via fuori sdentata. Appena uscita chissaccome c’è subito gente che la conosce:
«Ma… Fidinfidina e quella dentiera?»
«Insomma lasciatemi stare.»
«Ti devi abituare a poco a poco. Ti devi distrarre quando l’hai in bocca e vedrai che ti riuscirà.»
«Insomma io e quella dentiera non si va d’accordo.»
Caro Dott. Stiti, a questo punto lei avrà già capito: Fidinfidina aveva instaurato con quella dentiera il rapporto che Granti aveva instaurato con lei. Ma la dentiera non aveva alcuna colpa e ne soffriva quanto ne aveva sofferto a suo tempo Fidinfidina e forse più e così ogni volta:
«Fidinfidina su, ti prego, portami fuori a fare un giretto.»
«Fossi matta. Io esco ma tu resti a casa. Non ho voglia di farmi vedere in giro con denti falsi.»
La dentiera patisce da morire quell’accusa di “falsità”.
«Io non sono falsa, sono, casomai, se proprio ci tieni a classificarmi, a inquadrarmi in un termine preciso forse, sì, sono un po’ artificiale… ma perché? Forse le cose artificiali non hanno un’anima? Non sono capaci di emozioni, di patimenti, di sensazioni? E poi, scusa, anche per te meglio con i denti artificiali che sdentata. Con quelle labbra ballerine sembri anche più vecchia. Avresti ancora un bel visino e con me, ti assicuro, risplenderesti tutta.»
«Macché, macché. Non mi piaci e non so se continuerò a tenerti dell’altro tempo.»
E così avanti ancora per un pezzo. Ma la dentiera con i denti sempre più saldi e piantati:
«Dai Fidinfidina! Con me ti divertiresti di più. Guardami un pochino. In fondo io posso farti ridere, ti aiuto a mangiare, ti aiuto a parlare. Però ti volevo dire una cosa: per favore non mi mettere più nell’acqua del bicchiere perché mi raffreddo e faccio un sacco di starnuti.»
E Fidinfidina: «Avanti, ti darò un nome, ti chiamerò Filanicchina e questo ti basti. Però non uscirò con te.»
Il tempo passa, le punizioni continuano e una mattina la dentiera non reggendo più il dolore esplode in pianti e lamenti. Le lacrime fanno salire il livello dell’acqua del bicchiere e si allaga mezza casa.
Io cerco di sintetizzare, Dottor Stiti, ma nel romanzo queste vicende sono molto più complesse e articolate. Ma tanto lo leggerà, vero? A un certo punto però accade qualcosa, Fidinfidina entra in una chiesa dove trova i suoi amici e non si sa come ma dopo un po’ comincia ad accostarsi a quei denti artificiali con animo diverso, finché a poco a poco li accetta completamente e “così vissero entrambe felici e contente”. Non proprio così ma quasi.
Questa in sintesi la trama del romanzo. Ora lei giudicherà da sé, ma come è già stato detto da molti altri, l’originalità dell’opera (diciamo la verità, quanti son in grado oggi di scrivere centocinquanta pagine di narrativa sul rapporto fra una faina e la sua dentiera?) è la cosa più importante, anche se lo stile non è il punto di forza del romanzo che è in ogni caso scritto correttamente e in linea con i canoni della cosiddetta “espressione natural verbale”. Certi temi inoltre, come sottolineato anche da critici, intellettuali e persone di cultura, sono temi si potrebbe dire archetipici, e recano in sé l’orma di ascendenze letterarie celebri. È stato fatto il nome di Tantelli, di Piontrock, di Malivet, qualcuno ci ha visto addirittura il segno di Paranea, ma questo mi pare francamente esagerato. Bartolomeo Paranea non può essere a mio avviso accostato a nessuno, così come nessuno deve pensare di somigliargli. In ogni caso, per concludere, è un libro che si legge bene e che in certo modo riesce a coinvolgere e a divertire e quindi credo che per lei non sarà un fatica. Basta. Chiudo questa mia logorroicissima lettera, e aspettando con ansia sue notizie, le invio distinti saluti.
Gian Edgardo Gabinett