Stefanino nacque ricco

Stefanino nacque ricco

copertina
anno
2008
Collana
Categoria
pagine
160
isbn
978-88-6266-102-7
È una storia reale raccontata con profonda adesione: genera coinvolgimento, partecipazione. Non sono descritti personaggi ma persone vere immerse nella lotta per la sopravvivenza, impegnate nel faticoso cammino verso l’affrancamento dalla schiavitù.
È un racconto di parte, di ideali da riconquistare, vissuto nel grande buio della miniera dove gli uomini hanno la sola luce della coscienza che li rende fratelli.
Manlio Massole è nato nel 1930 a Buggerru (Cagliari). Ha insegnato per quindici anni in zona mineraria, è stato per altri venti minatore. Scrive da sempre. Per i suoi testi ha avuto significativi riconoscimenti. Nel 2007 gli è stato attribuito il Premio Italia Diritti Umani.

INCIPIT
 

Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo;
Nel nome dell’Anarchia, del Socialismo e della Rivoluzione;
Nel nome dell’Uomo, della sua carnalità e del suo pianto; perché “vendevano le possessioni e i beni e il ricavato dividevano fra tutti secondo il bisogno di ciascuno”; per quel che egli è stato ed io sono: idiota o pazzo, dedico quanto racconterò a Stefanino.
Stefanino è morto da tanto tempo. Io non l’ho conosciuto. Non era nessuno, nessuno lo ricorda, nessuno forse l’ha pianto. Erano in molti a vergognarsi di lui: ne hanno cancellato la vita; ma io me lo porto dentro da quando, bambino, una sera d’inverno udii pronunciare il suo nome da qualcuno di casa, che subito si pentì e continuò il suo discorso senza più farne cenno, mentre gli altri fingevano di non aver udito. Io stesso finsi di non essermi interessato a quel nome: nessuno poté intuire che il mio cuore aveva avuto un sussulto e nessuno fece caso al fuoco del caminetto che, repentinamente, si vivificò in fiamme inusitatamente chiare e spicciò uno sciame di scintille velocissime. Ora ne racconto perché resti il ricordo di lui che non poté interamente morire, crucciato com’era, nell’attesa che questo nipote corresse il grande rischio di amare gli uomini in umiltà: la sua storia si concluderà in me, perché per lui e per me finirò di bere le poche gocce ch’egli lasciò nel calice e allora avremo pace entrambi. Di tutti i passi della mia vita, dico di quelli concreti, compiuti nello spazio fisico, misurabili con il metro, ne ricordo soltanto due: il primo deciso, svelto, che mi ha introdotto per la prima volta in miniera e il secondo, quello che me ne ha fatto definitivamente uscire, dopo vent’anni di andirivieni, titubante e lento. Quest’ultimo non mi ha interamente portato con sé: ha lasciato una parte di me laggiù in miniera, oppure, assieme a me e in me, s’è portato la miniera. Lo ricordo bene questo passo: la testa china, vedo lo scarpone pesante oltrepassare la soglia che divide il mondo del minatore da quello dell’uomo; le mani prigioniere nelle tasche ché non dicessero, con i gesti, le parole del mio silenzio triste.