In tasca un pezzo di alba

In tasca un pezzo di alba

copertina
anno
2008
Argomento
Collana
Categoria
pagine
104
isbn
978-88-6266-106-5
9,50 €
Titolo
In tasca un pezzo di alba
Prezzo
10,00 €
ISBN
978-88-6266-106-5
nota
Prefazione di Giorgio Barberi Squarotti
Questo romanzo è un’assoluta visione, un sogno, una creazione della parola, ma proprio in questo modo propone per forza e per ricchezza di “trovate” e di avventure alcuni fondamentali eventi dell’esistenza e dell’anima; e l’effetto è straordinariamente efficace e necessario.
Giorgio Bárberi Squarotti
 
 
 
Elisa Testa è nata nel 1982 a Torino dove studia Lettere. È anche cantante in un gruppo folk e si occupa di ricerca sulla musica della Valle Varaita. Scrive su riviste musicali e si interessa attivamente di concerti, teatro, etnografia.
Questa è la sua opera prima.

INCIPIT
 

L’incontro con Iride segnò la mia stanza. Amava i colori caldi e insisteva perché tutti avessero un segnaposto intrecciato di fresco in tasca: l’arrivo poteva semplificare i preparativi se l’ospite qualificava la sua presenza con nuovi impulsi. Portava capelli di giada tirati e lavorati con l’oro di fermagli appesantiti e giocava con le dita nel cesto della biancheria sporca.
Quando ero piccola catturavo le mosche e le nascondevo sotto bicchieri trasparenti per vedere il respiro dimezzato: lo spavento era l’essere vista più grande da lenti di vetro deformato, il piacere l’attesa del terrore immaginato, scolpito su tele di grida atterrite di insetti che parlavano la lingua sussurrata ai cavalli per innervosire le code.
Iride giungeva come una memoria lontana a ricordarmi la terra che passò per il mondo, rotolando accanto a polveri infinite e stelle in esplosione.
Un giorno si sedette su un dondolino scarlatto di sonno e mi osservò silenziosa, ridendo dei giochi finti e parlando di quanto gli anni avrebbero segnato il mio volto, la mia voce. Si alzò di nascosto e mi sistemò le calze lunghe e fastidiose di lana che occorreva portare per gusto materno, ribellione di chi le tira per deformarne la natura di fibra da prurito. Iride parlò e la sua voce era assenza di suono, dolcissima nel fruscio delle consonanti arrotondate, tiepida come le coperte scaldate di acqua per piedi invernali.
Una sera mi raggiunse sulla terrazza delle sedie blu smaltate che, a causa dei miei giochi, persero la verniciatura per accogliere amiche del quartiere abbinate a nipoti, cuoche bambine nello scambio di visite del vicinato.
Mia nonna usciva verso le scale dopo aver fatto tacere fornelli unti di giornata cotta a fuoco lento e sedeva accanto a zampironi roventi per distrarre zanzare desiderose di rosso. Aveva ciabatte dalle fantasie esotiche, ricavate da vecchie tappezzerie scartate dal decoro di società e le portava a metà, con il piede che spuntava oltre la misura della forma, come la Luna, che certe sere calza male un cielo opaco e arrugginito di nebbia.
Io saltavo due gradini a turno e scendevo nel giardino orlato di ghiaia dalle tante ombre; la sera portava luci sottili di candele tenute basse dalle voci delle donne che chiacchierano il vento tra i rami del fico e si apriva un mare di verde stinto, la mia isola dai mille sentieri di tesori nascosti: corridoi di pomodori alti e steccati nelle fratture preventive e boschi di bassi asparagi appena accennati. La terra diveniva seria e offriva polveri di studiati doppi sensi di luce a vari angoli di circolazione, strade diurne si facevano scure e fascinose farfalle notturne dalle ali chiazzate di lattuga e germogli di indivia.
Le corse veloci, fatte per paura e sfida, avevano i fili sottili degli sguardi attenti dei miei nonni, posati come civette in muratura sulle ringhiere bianche del terrazzo, immerso nel barattolo della notte.
Scivolai su un sasso vetrato di buio e caddi tra le braccia sospese di Iride, che mi raccolse al volo di nascosto. Sporca di terra la ringraziai e le parlai del tesoro che si trovava presso di lei, l’oggetto della mia ricerca.
Lei spiò dal verde di occhi confusi con foglie in penombra e sussurrò qualcosa; sorrise luminosa e versò acqua sulle mani spelate di gioco a cadere. Mi strinse la spalla guardando le dita e il profilo: mi immaginò adulta e indicò un frammento di smalto blu che mancava da una sedia.
Quell’incontro cambiò i colori e gli odori della mia stanza.