Una lettura di Nella Rovelli
E’ uscito quest’anno per l’editore Passigli il volume che raccoglie l’opera completa di Giulia Perroni, La scommessa dell’infinito. Poesie 1986-2009.
E, quasi contemporaneamente, l’ultimo libro, Tre vulcani e la neve, presso Manni editore. Due opere distinte che testimoniano una esperienza nella poesia intensa e varia, multiforme già nella raccolta opera/omnia e, con un ulteriore guizzo di novità scritturale nell’ultimo volume.
Giulia Perroni consegna al suo pubblico, in questo modo la summa della sua attività di poeta, quella che ha scelto come strada importante nella sua vita, strada prioritaria, dopo una laurea in farmacia e una avviata carriera nel mondo del teatro, come attrice.
Di famiglia siciliana, la Sicilia di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e di Lucio Piccolo, si è trasferita a Roma e vive al Gianicolo, il quartiere caro a Pasolini, Caproni, Gadda e ad Attilio Bertolucci che scrisse la partecipata prefazione a La libertà negata (il primo volume di poesie di Giulia Perroni che uscì nel 1986 per i tipi del Ventaglio) e che ricompare in questa raccolta. A Roma ha fondato con il marito Luigi Celi, poeta e saggista, il circolo culturale “L’Aleph” a Trastevere.
Dall’esordio, su “Nuovi Argomenti” nel 1977, ad oggi, le raccolte poetiche sono molteplici:
La libertà negata, Il ventaglio, 1986
L’altro, silloge poetica con cui vince il premio Montale per gli inediti nel 1991 e che esce nei 7 poeti del premio Montale, nel 1992, da Scheiwiller.
Nell’arco di un decennio escono da Campanotto Il grido e il canto, 1993, La musica e il nulla, 1996, La neve sui tetti, 1999, La cognizione del sublime, 2001, dedicata all’amica Giorgia Stecher, Stelle in giardino, 204 haiku del 2002 e, infine, Dall’immobile tempo, 2004.
Vince il premio Cordici per la poesia mistica e religiosa nel 2006 e, nel 2009 esce Lo scoiattolo e l’ermellino, per le Edizioni del Leone.
Poi i due volumi di oggi: La scommessa dell’infinito e Tre vulcani e la neve.
Qualche giorno fa si è recata a Prato per ricevere il premio Contini Bonacossi per l’antologia.
Diverse sue liriche sono state musicate da musicisti dell’Accademia di Santa Cecilia e portate in tournèe e, in questo intreccio di musica e poesia, si deve a Giulia Perroni, alla sua lettura e alla sua gestione del teatro Cavalieri di Roma, la diffusione in Italia di Anima dell’acqua di Kikuo Takano nella versione della traduttrice, musicologa e soprano Jasuko Matsumoto. Alla vicinanza all’opera di Takano si deve la sua prova in forma di haiku e la sua attenzione al modo orientale di esprimere la poesia e la vicinanza tra conoscenza, esperienza e scrittura.
Takano dedica a Giulia una lunga poesia, A te, in postfazione al suo libro Per incontrare (1995), quasi a suggellare un’iniziazione, un’intesa. La poesia è inserita nell’antologia critica che chiude il volume.
Mi pare utile partire da qui per introdurre uno dei temi che possiamo tentare di nominare, scegliendo tra i tantissimi che si possono rintracciare nella poesia di Giulia Perroni, il tema spirituale, o la ricerca e l’indugio su aspetti della vita e dell’esperienza quotidiana che hanno a che fare con la speranza, il sacro, l’attesa, l’alterità e spesso anche il faccia a faccia diretto con Dio: Voglio o Signore/ totalità di fame e di bellezza/ norme leggiadre ai limiti del fango/ dove l’occhio conciso le accarezza/ lo sfarzo primigenio e ciò che serra/ la mia vita alla morte… (Neve sui tetti, p. 164)
Forse è possibile introdurre il passaggio a questo aspetto della poesia di Perroni attraverso la sua attenzione alla cultura orientale, buddismo e pratiche zen soprattutto, non perché venga, in ordine di tempo, prima rispetto ai continui richiami al mistero che attraversa la vita, ma perché costituisce una più agevole possibilità di ingresso in un tema difficile e profondo, legato al segreto e alla singolarità e, contemporaneamente, riconoscibile come universale anelito, se come ci dice Takano, noi siamo quelli/ che attendono/ fino all’ultimo istante/ con le parole, sperando.
La parola è affidata gli haiku, di cui la raccolta del 2002, Stelle in giardino, ci offre una estesa gamma.
L’haiku prende vita dalle suggestioni della natura, dal volgere delle stagioni e si forma senza fronzoli lessicali e senza congiunzioni per offrire sintesi estrema di pensiero ed immagine. …viene al Tuo volto/ la ferita d’un giorno/ Dio dell’ascolto/ …nello stupore/ attimo lieve eterno/ tutto è mistero/ …non trattenermi/ l’ascensione è piena/ di mille incanti ( Stelle in giardino, pp. 201, 210, 202)
Se nella cultura occidentale (e in qualche modo questi haiku di Giulia Perroni costituiscono una sorta di mediazione tra Oriente e Occidente) ogni parola che riguardi il divino, la parola teologica, la preghiera, il semplice gesto di vicinanza o di ricerca tendono a definire Dio, a cercare di affermarne tutto il dicibile, nella tradizione orientale c’è prima di tutto ciò che di Dio non si può dire, un rispetto del mondo come legame terra-vita in ogni forma e rispetto e pietà del nostro stesso sbalordimento per ciò che nel mondo accade.
Così, a metà tra la tradizione occidentale e la grande cultura sapienziale d’Oriente, Giulia Perroni ci consegna una spiritualità in cui, come direbbe Maria Zambrano, “ non è permesso eludere l’inferno”, bisogna anzi toccare le esperienze, sentirne la forza originaria come memoria passionis, prestare loro attenzione con tutto il tempo necessario al pensiero, perché senta il transitare delle cose della vita e le tragga dal silenzio. Il ritmo con cui esse tornano in noi, risuonano, non può che essere un tempo musica, non come elaborazione estetica, ma come ritmo del cuore, intermittenze di silenzi e di riprese.
La musica e il nulla è il titolo di una delle raccolte di Giulia Perroni che guidano in questa direzione: Quando tutte le voci/ discordi/ ammutoliscono/ dal profondo/ s’alza/ indenne/ una/ musica,/ la musica/ ci abita/ nonostante/ il/ delirio/ nonostante il/ delitto,/… (La musica e il nulla, pp. 117/118)
Non c’è forma più valida della poesia per questo esercizio dell’anima:
Io so che la poesia viene nel sonno/ so che essa nasce agli angoli oltraggiosi/ che conosce nei margini la foglia/ il morire e il rinascere/ la vita
La poesia abita chi racconta la nostalgia per gli spazi, l’angoscia per i limiti di quanto è intorno, l’intimità con tutte le forme possibili di realtà ed è qui che sconfina con il sacro e non solo perché la poesia originaria che ci è dato conoscere è il linguaggio sacro, ma soprattutto perché il limite che costringe e incessantemente induce a fare i conti con il non-finito, l’imperfetto, è anche inizio di Altro (vedi poesia a pag. 100): lo stesso constatare l’incapacità di infinito svela il desiderio che è al fondo, l’aspirazione, l’appartenenza ad un “altrove”. Come dice Cristina Campo, nelle Lettere a Mita (pag. 51): Il cammino della poesia è uno e non reversibile. …essa non è altra cosa dalla reverenza per il significato teologico del limite: il precetto di operare a somiglianza di Dio: dal Sinai al cespuglio ardente, dal Tabor a un pezzetto di Pane.
E, contemporaneamente, un contatto con l’assoluto che si stabilisce nel vuoto di consolazioni, nel naufragio dei propri beni, nella perdita delle illusioni può generare un dolore grande. Lo si può contenere o sopportare solo accettando che le cose capitino, con il loro carico di libertà e, talora, di gioia, ospitando la fecondità dei possibili modi d’essere nelle cose. Si tratta di una vittoria sul tempo: un uscire progressivo dal tempo alienato per acquisire un tempo redento, liberato dalla malignità del giorno che fugge. Le ansietà e le preoccupazioni, anche le più concrete e motivate, quelle che sommergono l’anima, possono essere sottratte alla loro profanità immediata e perdere il loro carattere effimero e soffocante, sembra indicare Giulia Perroni, se vengono convertite in un esercizio dello spirito e gettate in qualche modo in Dio.
Pietra del laccio/ Sangue del mistero/ L’onniscienza dell’attimo affocato/ Da quieta sua vertigine/ Metto su te la fronte e mi disseto/ come l’alba maestosa che non chiede ma genera il cammino/ Mio viaggio di cui non so parlare/ Mio viaggio/ Impietoso e felice/ Mio viaggio/ Trascinato dal vento (Tre vulcani e la neve, p. 114)
Se tutta la creaturalità si esprime nel mondo in cui agiscono le leggi naturali e quelle stabilite dalla società, è necessario abbassarsi fino ad accettare le costrizioni che queste leggi comportano, ma l’aderenza all’insufficienza umana genera un movimento inverso che fa toccare il “soprannaturale” e consente di avvertirne la grazia: Fiammeggiava alla corte dell’essenza/ la frantumata spoglia della vita/ si intravedeva in là dalle zanzare/ la lucentezza delle forme vive. (Lo scoiattolo e l’ermellino, p. 247)
L’ “impermanenza” è la cifra di questo movimento che prende le mosse dalla riflessione orientale: una predisposizione alla lontananza che trasforma lo spazio in un allusivo esercizio sulla nostalgia, appello interiore alla perdita e richiamo di paesaggi, memorie, immagini di altre storie e altri tempi (p. 167), oppure tensione di natura mistica, di una modalità della vicinanza a Dio che, aggirando il logos, inventa modi e parole che attingono alle visioni. A loro deve essere riservato uno spazio speciale, ci dice Giulia Perroni, fin dal suo esordio poetico: Abbiate pieta per i mistici/ i mistici senza riposo/ stritolati sopra l’aia del fare. (La libertà negata, p. 78)
Le invenzioni linguistiche, in questo volume che racconta le vicende di scrittrice di poesia di Giulia Perroni, seguono l’incalzare delle raccolte e presentano sfaccettature continuamente nuove, quasi a preannunciare la novità assoluta, sul piano della scrittura di poesia, rappresentata dall’ultima raccolta, Tre vulcani e la neve. Dunque novità dopo novità, haiku e poema, poesie in endecasillabi e brevi versi fulminei, poesia racconto e versi staccati da ampie interlinee a suggerire una precisa scansione della voce appoggiata su lunghe pause. Eppure una omogeneità nei temi forti: la tensione spirituale, declinata su amicizia, amore, alterità e la onnipresente attenzione al mondo femminile. Ad ogni pagina si infittiscono i riferimenti. Le donne in generale, nella fatica quotidiana, sono il tema fondamentale del volume Dall’immobile tempo del 2004, volume che porta una nota introduttiva di Giulia Perroni tesa a motivare il gesto che usa la poesia come voce di civiltà. Ma in tutte le raccolte è presente l’attenzione commossa alle storie delle donne: quelle del mito, Medea, Cassandra, archetipi assoluti, le donne delle Scritture, Eva, Maria, Marta, le amiche poete come Giorgia Stecher, le poetesse arabe, le maestre del passato, Giuliana di Norwich e la sua mistica della compassione, Ipazia, la scienziata e le donne di oggi come Hina, la giovane pachistana uccisa dal padre. Un elenco di storie dispari tra le quali corre il filo di una differenza di genere che indica la specificità del loro agire.
Merys Rizzo, in una delle recensioni a Lo scoiattolo e l’ermellino, che compaiono in calce al volume parla di …un femminile che nell’opera è elemento autonomamente attivo come valore, come sfida ontologica, come principio di realtà collegato all’invenzione linguistica. (p. 345)
Allora non importa che tanto racconto si conduca ancora con enfasi sulla ‘minorità’ femminile, dato che dietro le immagini si cela un sapere pieno delle vicende delle donne, un sapere svelato nonostante la “teologia sia maschio” e si inventi che alla cena ultima non erano presenti le donne.