Trilogia dell'attesa

Trilogia dell'attesa

copertina
anno
2011
Collana
Categoria
pagine
88
isbn
978-88-6266-392-2
11,40 €
Titolo
Trilogia dell'attesa
Prezzo
12,00 €
ISBN
978-88-6266-392-2

Alma, Lina, Adelma sono immagine di tante altre donne.
Il flusso del pensiero insegue i fatti reali; i disegni sono parte integrante e comunicano concretezza e insieme astrazione; l’amore assoluto e complessivo è anche lontananza, abbandono; lo scavo è nella vita, per riflettere, attendere un cambiamento, ritrovare e ritrovarsi.

 

Intervista, di Olga Gambari

 
O.G. Cosa attendono le tue donne? Vivono la vita, che è per sua natura un’attesa continua?
 
M.G. L’attesa, è vero, fa parte della vita, ma credo appartenga più all’immaginario collettivo femminile: si attende un figlio, si attende il principe azzurro… La donna sembra saper attendere. È un’azione che ci risulta facile. (basta pensare a Penelope)
L’attesa di Alma, Lina, e Adelma – le protagoniste del mio libro – non è l’attesa di un amore, di un uomo è, nel soffermarsi a osservare le proprie emozioni, badare al proprio cambiamento nel desiderio di autonomia.
 
O.G. La scrittura dei tuoi ritratti di Alma, Lina e Adelma è una scrittura creativa, una visualizzazione che dà l’immagine delle parole e delle storie. I segni delle lettere, la spaziatura, il bianco della carta diventano tela e insieme memoria documentativa.
 
M.G. Mi sono divertita a disegnare con le parole e a scrivere col disegno. Il mio lavoro, dalla fotografia al video, dal disegno alla performance e all’installazione, ruota tutto attorno alla parola - sia scritta che letta.
Da anni, per esempio, sto costruendo un vocabolario visivo dove ad ogni parola faccio corrispondere un video. Questo lavoro l’ho intitolato Vocabolario alla voce:… Entrare in ogni parola, attraverso le immagini, è come scavare nella propria esperienza e arrivare all’essenza della cosa. Nel video l’immagine mi ha aiutato a restituire alla parola il gesto che le appartiene, a rendere presente ciò che è assente, a scoprire che le parole sono cose e le cose sono parole. Ogni video è un’immagine-parola: vale a dire un binomio che non si esaurisce nella denotazione di quella parola, nel suo significato reperibile sul dizionario.
Quel che cerco di fare, in tutto il mio lavoro, è di ricoprire di parole le immagini e le immagini di parole.
 
O.G. È un tentativo di produzione immaginifica onomatopeica, che cerca di dar vita a visioni e sensazioni oltre alla razionalità linguistica, per certi aspetti penso agli esperimenti creativi di Joyce nell’Ulisse.
 
M.G. Trilogia dell’attesa, che è il racconto di tre donne diverse per età ed esperienza, è la continuazione – in un certo senso – di Ti mando, come promesso, il mio ritratto, un’installazione che comprende lettere di donne a donne in diverse lingue e i ritratti di donne di diversa nazionalità, epoca ed età.
Nel libro, in cui mi sono soffermata su due momenti del rapporto amoroso (l’innamoramento e la separazione), il racconto si svolge in forma di lettera. C’è un Tu e, anche se appare come lontana presenza, mi premeva sottolineare che in fondo quello che ci muove è condizionato sempre da un Tu. Nel senso che è nel Tu che l’io si riconosce, cresce, si emancipa. Nelle lettere di Alma, Lina e Adelma c’è la messa a nudo della loro interiorità, del loro pensiero e sentimento. Emerge in loro, a tratti, una certa consapevolezza di sé, il tentativo di trarre la propria vita dall’indistinto, il desiderio di raccontarsi e di ridisegnare se stesse.
 
O.G. Quanto contiene una parola?
 
M.G. La parola è un mondo e il mondo, come diceva Stéphane Mallarmé, è un dizionario.
 
O.G. Una parola è un’immagine?
 
M.G. La parola è immagine, è suono, è segno e disegnarla è per me la chiave di accesso verso il mio io e verso il mondo.
 
O.G. Qual è l’ultimo bel libro che hai letto?
 
M.G. È il libro che sto leggendo (quello che si sta leggendo sembra essere sempre il più bello). È la raccolta di poesie di Wisława Szymborska. Le sue poesie mi aiutano a sentire, mentre tutto, nel mondo che ci circonda, è rivolto a possedere. La sua sottile ironia, che è la chiave a non prendersi sul serio, conduce a una visione leggera delle cose che mi piace.