Un applauso per l’attore

Un applauso per l’attore

copertina
anno
2007
Collana
Categoria
pagine
88
isbn
978-88-8176-958-2
10,45 €
Titolo
Un applauso per l’attore
Prezzo
11,00 €
ISBN
978-88-8176-958-2
Elemento unificante di questi racconti brevi è l’Uomo: beckettiano, riemerso dalla celebre pièce del Godot; un Uomo che, dall’infanzia, si sente costretto a chiedersi cosa significhi essere io, e trovarsi proprio lì e non altrove; obbligato a fare i conti con l’erotismo e con la malattia, la morte; un Uomo che constata amaramente l’assurdità del mondo per ritrovarsi infine, attore incompreso sul palcoscenico della vita, a scoprire un unico, meritato riscatto: “Nel secondo esatto in cui tutto questo è iniziato, noi abbiamo smesso di tacere per sempre”.
 
 
 
 
 
 

INCIPIT

I suoi primi ricordi non avevano contorni, ma soltanto voci spezzate di canzoni.
Era ancora molto piccola quando qualcuno l’aveva portata in una stanza tutta bianca con un lettino, un televisore e la mamma che, dolcemente inesorabile, al suo fianco cantilenava.
Poi era guarita ed era tornata a scorrazzare per il corridoio di casa, esultante della sua solitudine, disdegnando la compagnia degli amichetti che, di lì a pochi metri, si ritrovavano per giocare insieme.
Quasi tutti i pomeriggi Tridacna rimaneva in cucina con sua madre che stirava: la ricordava come una grande cucina, ma forse era il suo sguardo di bambina a dilatare tutto ciò che lo rapiva. Suo padre tornava quando fuori era già buio; lo vedeva scomparire nell’imbuto delle scale che conducevano al piano superiore. Tridacna, diceva la mamma, vai ad avvisare papà che la cena è pronta. Una volta lei era andata ed aveva trovato suo padre in bagno, voltato di spalle; lo aveva chiamato. Non era accaduto proprio niente di strano, eppure lui si era arrabbiato e, sceso in cucina, aveva urlato alla moglie: tua figlia non deve vedere queste cose. In realtà Tridacna non aveva visto assolutamente nulla, ma quell’episodio le sarebbe rimasto impresso nella memoria come uno dei primi litigi di cui fosse stata spettatrice.
Quando la sera andava a letto si riprometteva di addormentarsi il più tardi possibile; quelle lotte contro il sonno erano un’oasi di libertà, il tuffo in un’emozione assurda, che del proprio autocontrollo si nutriva compiacente. C’erano stati momenti in cui la sua piccola mano era scivolata sotto le lenzuola ed aveva cominciato a premere ritmicamente contro le mutandine; così, sdraiata a pancia in sotto, aveva preso a trascorrere piacevolmente il tempo. Ma una volta il papà l’aveva sorpresa e quel giorno stesso, alzatasi, Tridacna aveva trovato la sua cameretta desolatamente vuota: tutti i suoi giocattoli erano stati portati in soffitta; solo troneggiava su un ripiano, forse dimenticato, il giradischi.
Aveva così compreso di essersi comportata male e, in seguito, aveva cercato di trattenersi. Ma allora erano iniziati i suoi incubi notturni. A un tratto si trovava in una grotta sotterranea, c’erano fuoco e fiamme dappertutto e un demonio rosso con le corna le sputava addosso una voce da pupazzo ermafrodito; poi la afferrava di soppiatto e la stravolgeva con il solletico, finché lei non si svegliava urlando. Quei brutti sogni avevano rafforzato la sua naturale riluttanza ad addormentarsi; ciò nonostante non ci fu, in quegli anni, un solo mattino che sorprendesse Tridacna spossata da lunghe ore di veglia.