Uno che conta

Uno che conta

copertina
anno
2007
Argomento
Collana
Categoria
pagine
96
isbn
978-88-8176-919-3
11,40 €
Titolo
Uno che conta
Prezzo
12,00 €
ISBN
978-88-8176-919-3
«Ma il protagonista del tuo romanzo sembra un ossesso che salta su una gamba sola dicendo io, io, io, io, io…» Così mi dice il giornalista dell’“Unità”. Sto presentando il mio libro alla Feltrinelli di Bari. E io vorrei dirgli: “Ma se ce l’ha una forza, ’sto personaggio, sta proprio in questa sua patologica ossessione egocentrica che si capisce che non è proprio uno normale, che non gli vien mica facile stare tra la gente, che la sua vita è in salita e che cose semplicissime per la maggior parte delle persone, per lui diventano complicate assai.” Questo avrei voluto rispondere. Invece gli ho detto con serenità: «In effetti, è così, è un tipo ossessivo, ma a me così m’è venuto, che conosco i miei limiti e ho cercato di utilizzarli nella direzione della caricatura, del grottesco, dell’esasperazione.»
Giancarlo Tramutoli è nato nel 1956 a Potenza, dove vive. Ha studiato Lettere moderne a Napoli e lavora come cassiere in banca. Ha pubblicato libri di poesia (l’ultimo, del 2006, Versi pure, grazie, Manni Editori) e un romanzo per Fernandel nel 2001, La vasca da bagno. Collabora con testi creativi e critici a “Totem Magazine”, “Fernandel” e sui siti letterari di Vibrisse, Nazione Indiana e Books Brothers.

 

Per ascoltare l'intervista di Carlo D'Amicis a Tramutoli su Fahrenheit dell'1 giugno 2007:  http://www.radio.rai.it/radio3/fahrenheit/mostra_libro.cfm?Q_EV_ID=217603.

Incipit

Sto per dare il calcio alla sedia. Ci sono salito con un’intenzione precisa. Il collo è stretto da una corda dallo spessore adeguato al mio scopo. Squilla il telefono. Aspetto che scatti la segreteria. Ascolto il messaggio: «Sono Valentina Lanzetti della Mondadori. Mi può richiamare a questo numero? Grazie e a presto». Allento frenetico il nodo che già m’ha lasciato il segno. Mi precipito al telefono. Sì, sono io, proprio io, l’autore di Storie da camera (un romanzo breve, spedito praticamente a tutti gli editori d’Italia), ebbene la Mondadori, la numero uno, ha deciso di pubblicarmelo. Devo solo apporre il mio autografo sul relativo contratto e beccarmi il dignitosissimo anticipo accluso.

«Cassiere dammi un modulo per prelevare!» «Ragioniere mi fai un estratto conto?» Si rivolgono a me. Sono i clienti. A me che ho studiato lettere, che scrivo poesie ludiche, magnifici aforismi e c’ho un romanzo che sarà pubblicato fra tre mesi.

C’è il pedante che ti fa mille domande e ti fa sbagliare, stornare, rifare. Il rompicazzo impietoso che ti guarda come se tu fossi a sua completa disposizione e ti chiede dieci cose insieme per il gusto di assillarti. E ti bisbiglia perfido: «Certo che ’sto lavoro io mai lo farei», e io che sto per rispondergli: «Se è per questo, neanch’io il tuo, cacciatore di polizze sulla vita!»
Poi c’è quello che già lo sa che soldi sul suo conto non ce ne sono e si avvicina timoroso, impacciato, e ti fa quasi pena, perché la firma del funzionario sul modulo dello scoperto per lui significa brutalmente: “Posso mangiare questa settimana, sì o no?” E per fortuna ogni tanto, c’è la ragazza carina alla quale, chissà perché, sorridi serafico e con cui fai lo spiritoso.
Se poi la ragazza è proprio notevole e ti fa vedere qualcosa appoggiando le tette al bancone, stai sicuro che il suo è un “conto Maiorca” (come lo chiamo io), cioè in profonda immersione.
Quando arriva qualche bellezza, c’è un’energia emotiva nell’aria, qualcosa di così intenso nel grigiore della stanza, una luce, una musica, l’eros che danza, che ci vuole qualche minuto per riprendersi e risprofondare nella routine incolore e anemica di sempre.
 
Sento il sax di Stan Getz mentre il sole manda gli ultimi bagliori prima di scomparire dietro la montagna. C’è un forte odore d’olio di lino nella mansarda. Sto lavorando a una grande tela.
È una domenica di maggio. E tutto è così sospeso. Oggi. Mi sono riletto le Memorie del sottosuolo e mi ci sono ritrovato.

 Squilla il telefono: è un collega che continua a chiamarmi anche se io non lo faccio mai. Lo assecondo. A lui non interessa proprio niente delle mie cose, vuole qualcuno che lo ascolti. Il guaio è che mi parla solo dell’ufficio. Veleno puro. Io che riesco a estraniarmi da quella roba tossica mentre ci sto dentro e lui che me la ripropina magari il venerdì sera o la domenica mattina. «Mica t’ho svegliato?», oppure: «Che fai?», «Guardo la partita in tv», e lui: «Ah, io mai. Il calcio non lo sopporto.» E giù con le sue ansie e nevrosi e le ipotesi e tutto quello che in genere io evito accuratamente di sapere. Ogni tanto mi alzo, vado a girare il sugo, a fare una pisciatina, a vedere se fuori per caso nevica. Ritorno e lui sta ancora lì a delirare. Non riesco mai a trovare una scusa per liberarmene.

Intanto il cielo si fa oro, quindi impallidisce, mi dice piano piano che anche questa giornata se n’è andata.