L’Affaire Cappelli: non è solo uno scrittore ma è anche personaggio di romanzi altrui
Eccoci a un’altra puntata dell’Affaire Cappelli (Gaetano Cappelli, autore di Storia controversa dell’inarrestabile fortuna del vino Aglianico nel mondo, Marsilio). Cappelli, per me (ma non soltanto per me: ha lettori che lo amano alla follia), è uno scrittore di gran classe ed è un mistero che non sia apprezzato come merita. L’altra volta ho citato due lettere. Una contro Cappelli del prof Vincenzo Tripaldi, l’altra a suo favore del lettore Alessandro Colella. Di quest’ultima lettera ne avevo citato la parte finale: «Lei stesso è stato, mi sembra, criticato da più persone per aver bollato Cappelli come Roth italiano anche se lo ha fatto a “fin di bene” come dice la Bignardi nel suo blog. Cara Bignardi, preoccupata che le fotografie della quarta di copertina non tengano conto del passare degli anni e dell’aumento ponderale dell’autore. E allora anch’io voglio criticarla. Forse sono un lettore incolto, non allineato, ma perché quando leggo alcuni libri di Roth mi annoio mostruosamente mentre a leggere Cappelli rido a crepapelle o piango come una casalinga frustrata davanti a Carramba che sorpresa? Cappelli è Cappelli ed è davvero unico nell’odierno panorama editoriale italiano. E se proprio dobbiamo fare dei paragoni, Cappelli è più Fitzgerald che Roth. Legga in successione il racconto Sogni Invernali (di Fitzgerald e il racconto Toccàti di Cappelli (in Errori, Mondadori) e vedrà su Cappelli non è un Fitzgerald redivivo. Mi scusi sono poco intellettuale, lo so. Per me certi libri sono come le canzoni che ami, quelle che ti dicono qualcosa tutte le volte che le senti e non importa se siano d’autore o sciocchi ritornelli. Le senti tue e questo basta. Io non rinuncerei alla mia canzone preferita nemmeno per Lamento di Portnoy. Forse è per questo che amo Cappelli». Caro Colella, che bella lettera a parte il passaggio su Roth (Lamento di Portnoy per me, usando i suoi parametri, è la canzone più bella di tutte). Toccàti è un racconto bellissimo, giocato effettivamente tutto su toni fitzgeraldiani e peccato che sia solo un racconto. Ecco, chi non ha letto Toccàti si è perso in assoluto una della cose migliori, più alte e divertenti della letteratura italiana fine secolo scorso.
A questo punto nell’Affaire Cappelli entra un altro personaggio. È Giancarlo Tramutoli, anche lui potentino. Veramente, Tramutoli c’è da sempre nell’Affaire (a lui che devo una segnalazione decisiva sullo scrittore). Ma adesso Tramutoli nel romanzo Uno che conta (Manni), monologo di un cassiere di banca che diventa scrittore da classifica mentre vive una tormentosa storia d’amore, annovera tra i suoi personaggi Cappelli in persona: «Nei periodi hippy io lo guardavo ammirato che andava in giro vestito di bianco con ’ste camicie indiane e pantaloni larghi di lino, gli occhialini tondi alla John Lennon, magro e alto come lui». E ancora: «Gaetano esibisce spesso un cinismo divertito per camuffare la sua sensibilità, che se non lo conosci bene, può sembrare uno snob maschilista reazionario». Ed ecco Gaetano che consola il protagonista da una delusione d’amore con una certa Valeria: «È così che va la vita… dopotutto l’anno scorso stavi peggio, no? Vedrai che ’sta Valeria torna e se non torna il mondo è pieno di Valerie, diciamo». Consiglio, al di là del suo ruolo nell’Affaire, Tramutoli. Viene voglia di citare altre cose (lo farò). Ora vi saluto con il cassiere, il protagonista, che sniffa le banconote versate da un pasticciere: «profumano di dolci alla crema».
L’Affaire Cappelli: autore di sozzerie casalinghe, divetto letterario o maestro del romanzo?
Il caso Gaetano Cappelli, autore di quel libro (anche comico, nonché stilisticamente eccelso ed elegantissimo) che è Storia controversa dell’inarrestabile fortuna del vino Aglianico nel mondo, sta appassionando i lettori. Mi scrive, in maniera acre e risentita (e, per me, spassosissima, ma non credo per lui) il prof. Vincenzo Tripaldi di Potenza (come Cappelli): «Leggo un suo articolo, su di un presunto “grande” scrittore lucano e non so come è possibile arrivare a partorire certi confronti. Come si fa a paragonare un pidocchietto di scrittore a un gigante della letteratura internazionale come Roth? E come fa un critico letterario di un certo nome ad associarsi a un giudizio espresso da un poetucolo nostrano sconosciuto che, per amicizia, vede nella pornografia più stantia del suo amico, un’opera letteraria di grande e profondo spessore… Mistero. Ma il mistero più grande è il critico letterario che ha partecipato a un tale strampalato confronto esaltando le zozzerie casalinghe di un personaggio del tutto insignificante… Così si uccidono anche i grandi scrittori… Lei, venuto a Potenza sull’onda di Vallettopoli, ha parlato solo con un paio di finocchietti letterari esaltati, tra i piatti odorosi e profumati dell’ottima cucina lucana. Qui i cuochi sono migliori degli scrittori e i vini in eccesso sono anche la causa di sviste e allucinazioni letterarie. Cordialmente…». Non trovate grandiosa questa lettera? Bellissima è la lettera, sempre su Cappelli, di Alessandro Colella: «Nel 1990 avevo 20 anni, ero uno studente meridionale fuorisede e la sorte mi aveva fatto vincere 130mila lire al totocalcio. Comprai tantissimi Oscar ricevendo in omaggio un’antologia di giovani autori. Iniziai a leggerla. Il racconto che mi impressionò maggiormente fu Tre mestieri sentimentali dello scrittore potentino Gaetano Cappelli. Le storie di un sud borghese come quello che avevo avuto sotto gli occhi per 20 anni della mia vita salentina mi sembrarono per la prima volta raccontate senza filtri, senza inutili intellettualismi, senza i meridionalissimi e deprimenti piagnistei di rito. Da allora i libri di Cappelli rappresentano per me un piccolo evento, un dono che mi viene elargito in gran segreto perché tanto so che ci sarà sempre un (pur bravo) Piperno, una Marilù o una Melissa qualsiasi a occupare la ribalta delle cronache letterarie al suo posto. In altre parole, posseggo un segreto che divido con le persone alle quali voglio bene, regalando copie del Primo o di Parenti lontani. Non le dico perciò la mia sorpresa nel vedere il mio scrittore preferito sbattuto in prima pagina sul Magazine, come uno dei tanti divetti letterari. Ma come? Allora qualcuno s’è accorto di quanto io so da 17 anni? Sono preoccupati che tanti lettori affascinati da personaggi rothiani o richleriani finiscano per trovare molto più divertente e interessante un Riccardo Fusco (Storia controversa…), un Guido Cieli (Il primo), un (immenso) Carlino di Lontrone (Parenti lontani), decretando un successo di massa per Cappelli e privandomi della mia quasi ventennale “esclusiva”. Tanto so che non devo preoccuparmi. Nonostante il suo sforzo i lettori non se ne accorgeranno e anche questa piccola perla, cadrà nel vuoto dell’indifferenza». La lettera di Colella continua la prossima volta, quando si chiarirà anche il ruolo del romanzo Uno che conta di Giancarlo Tramutoli nell’avvincente Affaire Cappelli.
Antonio D'Orrico su "Corriere della Sera Magazine" del 12 e del 5 luglio 2007