Intervista a Piero Manni
Intervista a Piero Manni
Più che celebrare in modo retorico i venticinque anni della casa editrice Manni, e la storia di Piero Manni e Anna Grazia D'Oria che, partendo dal Salento, hanno voluto entrare nei temi contemporanei del dibattito letterario e politico nazionale, ci sembra opportuno discutere con uno dei due fondatori di come è cambiata l'editoria in questi anni dal punto di vista di una casa editrice indipendente del Sud e di qual è lo stato delle cose.
«È cambiato un po' tutto - dice Piero Manni - specialmente nei processi di concentrazione editoriale, sia nella produzione, perché gran parte dei libri sono prodotti da poche case editrici, sia nella commercializzazione. Gli spazi riservati alla promozione dei libri sui mezzi di comunicazione sono di gran lunga diminuiti e sono di solito riservati ai grandi editori, spesso proprietari di quegli stessi media. E poi è in atto una monopolizzazione della distribuzione, dove i grandi editori hanno i propri distributori o li acquisiscono, come è stato per PDE da parte di Feltrinelli, proprie catene librarie e canali di vendita attraverso la rete. Inoltre, i grossi gruppi editoriali non sono più condotti con la logica di un progetto culturale: sono i criteri commerciali gli unici ai quali si risponde. Questi processi hanno ridotto considerevolmente gli spazi per i piccoli editori».
In base questi cambiamenti, come fa la casa editrice Manni a mantenere un suo profilo di indipendenza e restare fedele a quei valori originari con cui nacque nel 1984?
«Venticinque anni fa era ancora possibile affidarsi ad una produzione di qualità che trovava spazio nella comunicazione e nelle librerie, con un pubblico di lettori forti. Un libro di poesie, non dico di Sanguineti, ma di Edoardo Cacciatore, grande poeta poco noto, riusciva a ripagare i costi di stampa. Questo, oggi, non è più possibile e ciò vale anche per la narrativa di ricerca e per la saggistica di qualità. Bisogna dirlo con molta onestà: possiamo andare avanti solo tra molte mediazioni e compromessi. Costruiamo i libri interamente in casa editrice, investiamo in volumi di carattere territoriale, puntiamo sulla narrativa giovane e su nuovi target. Solo in questo modo riusciamo con molta difficoltà a sopravvivere».
Gli effetti della crisi economica in che misura stanno incidendo sulla vostra attività?
«Ci confrontiamo con i nostri colleghi e posso dire che sentiamo tutti la crisi. Nei primi sei mesi di quest'anno noi abbiamo venduto in libreria il 40% in meno rispetto ai primi sei mesi dell'anno scorso. Sento dire che Feltrinelli è scesa del 30% nello stesso periodo. C'è chi nega ancora la crisi, ma nei nostri paesi io vedo che sono ricomparse le librette, i taccuini su cui la gente segnava la spesa alimentare da pagare a fine mese. A questa situazione perché dovrebbe sfuggire l'editoria?».
Un anno fa, su queste pagine parlammo di una proposta di legge regionale sul libro per rilanciare tutto il settore. A che punto siamo?
«Il lavoro è andato avanti e sta per entrare in commissione per la discussione. Per un evidente conflitto di interesse, io non posso spingere su questa materia, e se la cosa arriverà in consiglio regionale io non parteciperò alla votazione. L'ex assessore ai Beni culturali, Domenico Lomelo, teneva molto a questo disegno di legge e adesso che non è più assessore, rientrato nella Commissione Cultura come consigliere, avrà ancora più tempo per occuparsene. A settembre lo presenteremo formalmente e dovremmo farcela entro la fine dell'anno».