Luigi Di Ruscio, L'ultima raccolta, 2002

Giovedì 24 Febbraio 2011

Luigi Di Ruscio, L'ultima raccolta, 2002

Da L'ultima raccolta, 2002, Prefazione di Francesco Leonetti

CCCIII

Con il comunismo sarebbe dovuta finire la differenza tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, nel caos produttivo del reparto ogni tanto incido sulla polvere un verso, oppure scrivere su un pezzetto di carta con una matita molto morbida, fa in maniera che non si accorgono di niente, ci furono molti versi immaginari che non ho fatto in tempo a scrivere, passano velocissimi e non faccio in tempo ad acchiapparli, vivere in questo incubo piatto, vivendo in Norvegia sono autorizzato a scrivere qualsiasi cosa in italiano lingua qui incognita, terrorizzato dalla fabbrica italiana ho cercato una fabbrica estera pensando che al di fuori di noi il mondo non doveva essere poi così infame e dopo infinite ricerche mi hanno assunto in una certa Christiania Spigerverk, fabbrica di chiodi inventata del 1853 e dopo aver resistito a tutte le intemperie e cambiando continuamente di padrone non riesce a fallire e resiste ancora imperterrita almeno di nome anche ora arrivati incolumi al nuovo millennio, qui ho lavorato dal 1957 sino al pensionamento quaranta anni dopo. Ogni giorno dopo o prima di andare a lavorare mi mettevo davanti a questa macchina da scrivere per darvi le notizie del mondo nel massimo dell’incertezza perché secondo Hegel non si potrebbe dire neppure che ora è perché appena la dici è già passata mentre io imperterrito persisto nobilitando i lavandini, gli orinatoi automatici e perfino ad un simile poeta sottoscritto venne riconosciuta in parte l’esistenza, un teschio di pietra progettato dall’onnipotenza del dio delle pietre, resti antropologici ornati da statue in languido gesticolare, tutto quello che hanno inchiodato con i chiodi prodotti in 40 anni d’afflizioni sottoscritte, ecco le vasche dell’acido solforico, l’internazionale fu quotidianamente fischiata ovunque dall’ultimo comunista ristupidito dai barbiturici, poi ci fu la visita all’ultimo domatore di draghi, la reggia degli orchi e delle orchesse e le plastiche che li avvolgono io scomunicato e ateo imperterrito visitatore di eclesie nordiche, i giochi progettati nelle acque crepuscolari, l’associazione dei coltivatori domestici delle fucsie, dove la ragnata lampada esplode, progetti per le acque crepuscolari, mai rifiutati i godimenti della vita che vanno goduti con moderazione così le scritture dureranno per tempi lunghissimi. La fabbrica, la cattedrale contemporanea, maestosi edifici, la santità fu pagata con lo sfruttamento agrario, il piacere di esistere, di essere uomo e padre di uomini, hanno trovato la diossina perfino nel fegato degli orsi polari, i mammiferi sono in pericolo, si assiste al trionfo della alghe, gli insetti aspettano la fine degli uomini… e mi ritiravo in contemplazione, nel possesso, nell’esistenza assaporata del Dio di ferro, rivedo con singolare precisione la serie dei miei idoli, un bullone di un aratro, la testa esagonale di una grossa vite, il ferro così duro e tenace e duraturo che mi sembrava l’essenza della materia e quando divenni adulto il compito sarà quello di cristianizzare la materia, preparare la salvezza di tutte le materie incorporate, santificarle tutte, preparargli una vita eterna e incorruttibile, ed io così morbido quasi schiacciato dai ferri, con gli occhi che stavano per scoppiare e ripensavo anche a quel prete che disse che la tuta operaia è la toga contemporanea e la poesia deve essere una irrisione alla piattezza del linguaggio, una irrisione ai linguaggi delle comunicazioni di massa, una irrisione ai linguaggi spudorati dei padroni del mondo.

CCCV

La sveglia apre la suoneria, mi alzo spaurito e matto e sono alle ore sei sul posto di lavoro raggiunto in bicicletta anche durante i freddi nordici dove gelano le nostre sputate nella traiettoria prima della caduta e l’orina fumante si spegne subito nel suo tragitto. Ecco la fabbrica, il reparto che richiede una frenetica mobilità sino a farmi crollare di sfinimenti, tenere in movimento tre trafilatrici, correre da un punto all’altro della crisi dei fili, poi di corsa a casa in bicicletta mettere subito in movimento la macchina da scrivere oggi bene ripulita con l’alcol denaturato ed è bella anche a vedersi, azzurrina come è e dopo aver fatto lo schiavetto tutto il giorno eccomi davanti ai verbi, riferire le notizie della nostra brutalizzazione, i disoccupati, gli esclusi dall’inferno quotidiano si disperano, reclamano un posto in questi gironi infernali, eccole le poesie dirette solo a chi ha raggiunto un alto grado di alfabetizzazione e solo un minimo grado di brutalizzazione, poesie da spedire ai complici della congiura poetica, riferire il grado della nostra pericolosità e fu negata al sottoscritto la possibilità di esporre tutta l’angoscia nostra in piazza di Siena, scopiazzo anche cristo di cui nego l’esistenza divina nonostante che logicamente parlando, non è possibile negare l’esistenza dell’inesistente, un dio comunque esiste ed è il potere e negandolo vengo a trovarmi in una situazione di non esistenza e raggiungere il grado zero della scrittura era il sogno, 15 premi nobel fecero petizioni per la salvezza del Vanini bruciato vivo per ateismo
Tolosa anno domini 1619 e lo vidi in televisione mezzo bruciato
perché era l’inesistente che non doveva essere assolutamente negato
e raccontando ad un cieco tutto quello che vedevo io vedevo sempre meglio
e scrivendo continue epistole mi informo della condizione del sottoscritto
esprimere il massimo delle rivelazioni con un linguaggio
che dovrebbe essere anche irrisione dei linguaggi autorizzati
come se il vedere fosse possibile solo attraverso una grazia gratuita
data disinteressatamente essendo tutti peccatori
e non meritando altro che l’inferno della cecità

CLXIII

studiati tutti i metodi per suicidi innocui
e nonostante andassi quasi sempre in bicicletta mi consideravo bipede
e se mostravo tutta la mia gentilezza s’incazzavano come belve
è inutile andare ad ammazzare la gente prima o poi moriremo tutti
volevo scrivere che ad ogni mio verso l’italiano si fa più schifoso
invece senza volerlo scrissi che si faceva più scrivano
l’inconscio mi ama tanto che vuole che non mi calunni
e cosa significa il rifiuto delle figure retoriche più clamorose
se non l’astenersi dalle schifose lotte per la sopravvivenza
sputo poesie da tutte le parti e spuntano le mie poesie da tutte le parti
sputano le mie poesie da tutte le parti
sputano sulle mie poesie da tutte le parti
e bevo misture firmo carte
in onore del dio delle mosche mezze annientate dal ddt
venite esorciste bellissime liberatemi dal male
che disperatamente preme sul mio cazzo
ed è necessario nascondere il proprio strazio
per non far ridere i nostri nemici
e ricercare nelle fibre estreme della nostra gioia
e la rivoluzione italiana sarà la nostra gioia e la loro disperazione
con questa gioia disperata e questa disperazione gioiosa
cercavo di far balbettare con questo alfabeto
un debolissimo spirito dei tempi nuovi
in certe terre registrata la morte in massa delle api
che di voi resti un’ombra fossile
che si risappia che qui il sapore miele è passato