Paolo Di Stefano e Barilli su Baricco

Sabato 11 Marzo 2006

Paolo Di Stefano e Barilli su Baricco

Una stroncatura? Baricco, eccola qui , di Paolo Di Stefano

Certe volte le grandi tragedie dell’umanità, guerre epidemie catastrofi naturali, potrebbero essere evitate da una più pacata valutazione delle cose. Così, se solo avesse contato fino a tre, Alessandro Baricco avrebbe risparmiato a se stesso uno psicodramma e alla società letteraria internazionale la dolorosa constatazione della propria débâcle. Se solo avesse aspettato qualche giorno, sarebbe arrivata “l’immaginazione” (un mensile non certo degno del successo globale di Baricco, ma pur sempre dignitoso) a sedare il suo incontenibile scontento, e cioè il desiderio quasi infantile di avere una stroncatura alla sua altezza. Autorevole e argomentata.
Un polistilismo inconcludente. È il titolo della bella stroncatura a Questa storia scritta da Renato Barilli. Il quale sottolinea l’oltranza stilistica fine a se stessa, l’incongruenza dell’intreccio, l’incoerenza dei personaggi e l’improbabilità dello sfondo storico.
Quanto basta, insomma, a soddisfare la richiesta dell’autore che aveva denunciato una critica incapace di mettere in campo argomenti davvero ragionati. E lo fa volontariamente: perché (per ragioni tecniche) non si può pensare che Barilli nel redigere la sua recensione fosse già al corrente delle picconate di Baricco. Bastava avere un po’ di pazienza, perché stroncare Baricco, si sa, non è come stroncare uno scrittore qualunque, diciamo un Roth, un Ellroy, un Kundera: ci vuole molto lavoro, acribia, prudenza, bisogna conoscere tutto ciò che viene prima (dalle sperimentazioni dantesche all’ultimo Ballard) e soprattutto intuire ciò che si annuncia nel «campo aperto del futuro». Ci voleva tempo. Ma alla fine tutto sarebbe andato per il verso giusto. Senza spiacevoli psicodrammi.

da "Il Corriere della Sera", 11 marzo 2006

Un polistilismo inconcludente, di Renato Barilli

Il mio timore di essere affetto da buonismo progressivo, col passare degli anni, viene subito fugato quando mi vengo a trovare in cospetto di romanzi stesi da Alessandro Baricco, e così la solita “cattiveria” si riaffaccia prepotente in me di fronte a Questa storia, come già davanti ad altre sue opere precedenti. Non è che Baricco sia privo di “doni”, anzi, al contrario, ne ha fin troppi, sa di averli, e ne fa un uso compiaciuto e perverso, forse qualche sano avvertimento da parte della critica lo potrebbe trattenere, ma ciò non succede, dato che, al contrario, Baricco è un enfant gaté dal massimo dei fattori di inquinamento dei nostri giorni, una prolungata esposizione sulle reti televisive nazionali. Questo è il fattore che oggi procura automaticamente popolarità, successo a non finire, macchiando irrimediabilmente di sé le varie graduatorie stilate sugli organi di stampa. C’è poco da fare, i protagonisti del video occupano i primi posti in quelle graduatorie, tanto varrebbe falcidiare i primi cinque in classifica, passando ai nomi successivi, che forse qualche merito ce l’hanno davvero.
Baricco, sentendosi un padreterno, si serve di uno sfacciato polistilismo, che sarebbe anche degno di apprezzamento, se attuato in modo consapevole, ragionato, autoironico, non se, come avviene nel nostro sfrontato autore, la cosa si svolge in un clima di licenza, di arbitrio scapricciato, da parte di chi sa che ogni eccesso gli è lecito, e anzi, più ne commette, di arbitri, più ciò gli viene ascritto a vantaggio. In questo romanzo forse la sola cosa degna e stimolante è il primo capitolo, Ouverture, che ci presenta la cronaca in diretta di una corsa d’auto pionieristica, una Parigi-Madrid che si compie all’alba del ventesimo secolo, e per darne conto Baricco adotta una piacevole chiave para-futurista, come se lo stesso Marinetti se ne fosse fatto il narratore, con scrittura veloce, stenografica. Siamo dunque condotti a un clima di avventuroso automobilismo delle origini, che però viene subito smentito in quanto il campione di questa fase eroica è un tale Libero Parri colto invece, dall’autore già pronto a smentirsi, nel bel mezzo di un paesaggio agreste della “bassa”, cosicché l’odore della stalla e delle vacche da latte cancella irrimediabilmente quello della benzina. Anche perché degna di cronache della “bassa”, alla maniera del primo Visconti all’altezza di Ossessione, è la moglie che il nostro contadino in vena di meccanizzarsi si trova al fianco, subito disputatagli da un signorotto, anche lui spuntato fuori da fasti padronali ottocenteschi, un Conte d’Ambrosio che appare proprio come un figurino d’epoca. E così non si sa se l’ultimo nato della famigliola agreste, chiamato Ultimo proprio in ossequio ai riti della cultura contadina, sia davvero figlio del Parri o del nobilotto che ne finanzia gli exploit automobilistici.
Attorno a questo Ultimo l’autore crea un clima di attesa mistica, come di un aquilotto che prima o poi spiccherà il volo, e passerà finalmente invece a farsi Primo, a dominare il campo. Ma invece non è così, contraddicendo ogni ipotesi Ultimo è destinato a fallire in ogni sua impresa, inclusa quella che pure funge da sprone dell’intera vicenda, consistente nel rispettare l’impulso automobilistico da cui erano mossi entrambi i padri attribuibigli, e di giungere a costruire un circuito altamente funzionale. Insomma, questo rampollo è continuamente riassorbito dal destino tipico della sua più che modesta casta sociale, tanto che Baricco ha la pessima idea di farne un soldatino alle prese con fatti ben più grandi di entrambi, del suo personaggio, e di lui stesso come volonteroso scombiccheratore di carte. Infatti troviamo Ultimo addirittura immerso nella disfatta di Caporetto, nel che sta appunto il massimo di oltracotanza baricchiana, in quanto quel capitolo della nostra storia è stato magistralmente narrato da alcuni grandi scrittori, da Jahier a Comisso fino al sublime, per paradosso, invenzione, sfida dei luoghi comuni, Malaparte. Di fronte a cotanto senno il Nostro non può che mettere in mostra tutta la sua inferiorità, il carattere malamente abborracciato della sua ripresa, costretta a riciclare con ritmo affrettato e di maniera fatti di alta tragedia, come la fucilazione dei disertori.
Poi Ultimo viene proiettato negli USA, dove si trova al fianco una immeritata eroina di spirito quasi dadaista, una giovane profuga russa, Elizaveta, che sbarca il lunario facendo la baby-sitter, pronta però a inguaiare con diaboliche provocazioni sessuali le coppie per cui lavora, sottoponendole a ingegnose forme di ricatto. Sempre in nome del suo gioco temerario Baricco fa incontrare i due personaggi in un amore folle quanto povero di mezzi di sostentamento. Ma poi, altro colpo di dadi, Elizaveta diventa ricchissima, e vorrebbe finalmente appagare il sogno di Ultimo costruendogli il tanto auspicato circuito, senonché il protagonista è frattanto diventato introvabile, riassorbito nel fallimentare sfondo agreste da cui invano l’Autore ha cercato di sollevarlo.

da "l'immaginazione", n. 218, gennaio-febbraio 2006