David Maria Turoldo e Pier Paolo Pasolini. Da una parte il sacerdote dei Servi di Maria, ex partigiano, poeta, coscienza critica del cristianesimo post-conciliare; dall’altra l’autore di Le ceneri di Gramsci, il regista di Accattone e di Vangelo secondo Matteo, paleocristiano e paleo marxista, secondo Moravia il più grande poeta italiano della seconda metà del Novecento. Tra i due nacque subito una grande amicizia e una reciproca stima, alimentata dal fatto che, benché il primo avesse vissuto per lo più in Lombardia e il secondo a Roma, avevano comuni origini friulane. Turoldo era nato nel 1916 a Coderno, Pasolini (nato a Bologna nel ’22) aveva vissuto la sua infanzia e la sua giovinezza a Casarsa. Per entrambi, il Friuli povero e contadino delle origini rimarrà un crocevia imprescindibile di luoghi, volti, odori, passioni, tensioni.
Sull’ultimo numero de L’immaginazione, rivista edita da Manni in questi giorni in libreria, è possibile leggere una lunga «confessione» di padre David sul suo rapporto con Pasolini. Il 16 agosto del 1987 Stefano Bottarelli raggiunse il prete all’abbazia di sant’Egidio, sulle prealpi bergamasche, e dopo la messa del mattino, registrò su magnetofono le sue riflessioni. Le pagine trascritte e spedite a Turoldo da Bottarelli, sarebbero poi state riviste dal sacerdote, divenendo uno scritto autonomo. Sinora non era mai stato pubblicato integralmente.
È uno scritto di straordinaria acutezza, in cui Turoldo coglie alcuni aspetti centrali della personalità dell’amico. Lo definisce «un’anima religiosa senza religione, un credente senza fede», «un arrabbiato perché non può trovare un’autentica chiesa», e sottolinea che per capire tutta l’opera di Pasolini bisogna comprendere la sua tensione pedagogica. Una tensione maturata fin da giovanissimo, quando era maestro di provincia che scriveva versi in lingua friulana (per lui il Friuli rimarrà sempre una sorte di Eden cui è impossibile ricongiungersi) ed era un dirigente locale del Pci. Pasolini, dice ancora Turoldo, era un missionario: «si sentiva in missione; aveva un compito, quello di denunciare il male». Questa molla pedagogico-religiosa, cui Turoldo si sente molto vicino, è evidente sia nelle poesie, sia nei film, sia nei famosi scritti contro la mutazione antropologica degli italiani e la corruzione del Palazzo. E per rimarcare il concetto, padre David divide la storia della cultura italiana in due fronti, da una parte Montale, dall’altra Pasolini: «Montale è l’anti-Pasolini per eccellenza, come Pasolini è l’anti-Montale per eccellenza. Sono i due estremi della cultura italiana. Io però preferisco un Pasolini a un Montale (…). Uno è l’indifferenza assoluta e l’altro è il coinvolgimento e la passionalità assoluta».
Vent’anni fa, nel 1987, Turoldo già intuiva un cambiamento di percezione allora solo agli albori: la «purificazione» della figura di Pasolini, «libera da tutte le immondizie di cui è stata fatta carico in vita», e il raggiungimento di una centralità assoluta nel mondo della cultura italiana ed europea. Ma non fu così subito dopo la tragica morte. Turoldo ricorda di essere stato l’unico sacerdote ai suoi funerali a Casarsa, nel novembre del ’75. Fu lui a officiare la cerimonia funebre, durante la quale lesse alcuni brani proprio del vangelo secondo Matteo, e in particolare il Discorso della Montagna (la cui «messa in scena» pasoliniana, con il volto di Enrique Irazoqui e la voce di Enrico Maria Salerno, costituisce uno dei vertici del cinema italiano).
Anni dopo, intervistato da Corrado Stajano, il Turoldo poeta riconosceva di aver avuto – come Pasolini - un modello assoluto in Leopardi, oltre che nella Bibbia, in Sant’Agostino e in Kierkegaard. Questa posizione kierkegaardiana ritorna con forza, ad esempio, nella prefazione che scrisse per un libro di don Tonino Bello,
Alla finestra la speranza. «La realtà cristiana», annotava, «dovrebbe essere la stessa realtà dei poveri, divenuta una cosa sola; è quel mondo, quella vita, e non un’altra. Diversamente non avrebbe nulla di reale; come per natura non ha niente a che fare con la cosiddetta cultura cristiana, con la cosiddetta civiltà cristiana; perfino può non avere nulla a che fare, sotto molti aspetti, con la stessa cristianità».
Venticinque anni di vita letteraria italiana
La rivista L’immaginazione è giunta al suo venticinquesimo anno di vita. Fondata nel 1984, si è sempre occupata di critica e di ricerca letteraria, pubblicando saggi, interviste, recensioni, celebri stroncatura.
Intorno alla rivista si è creata via via una rete di relazioni e collaborazioni che ha contribuito alla crescita della casa editrice Manni di San Cesario di Lecce (
www.mannieditori.it), da cui la rivista è pubblicata. Diretta da Anna Grazia D’Oria, sulle sue pagine spiccano il «Diario in pubblico» di Romano Luperini e le sezioni «Pollice recto/pollice verso» di Renato Barilli. Il testo in cui David Maria Turoldo ricorda Pier Paolo Pasolini è apparso sull’ultimo numero de
L’immaginazione (n.241, agosto-settembre 2008), in questi giorni in libreria. Gran parte del fascicolo è dedicata alla figura di Mario Picchi, scrittore livornese di nascita e romano d’adozione, scomparso nel 1996. Fu un traduttore di classici francese, giornalista culturale a
L’Espresso, autore di
Roma di giorno, Ritratto di famiglia, Parlare ai figli. Sulla rivista compaiono un fitto diario dell’autore, steso alla metà degli anni Novanta; due lettere del carteggio Picchi-Palazzeschi, ancora inedite, e molte foto che raccontano la loro amicizia; interventi di Nello Ajello, Mario Luzi, Raffaele Crovi, Giovanni Giudici, Enzo Golino e altri.
Alessandro Leogrande sul “Corriere del Mezzogiorno” – 4 ottobre 2008