È stato scrittore, traduttore, giornalista, precursore con la rubrica «Freschi di stampa» su “L’Espresso” dell’attuale voga della microrecensione. È ora di scoprire Mario Picchi (1927-1996), figura schiva e aliena dalle camarille del potere giornalistico-letterario. Su di lui scommette “l’immaginazione”, la rivista diretta da Anna Grazia D’Oria ed edita da Piero Manni, con un numero monografico «fresco di stampa» che viene presentato a “Parole nel tempo”, la rassegna dei piccoli editori curata da Guido Spaini al castello di Belgioioso.
Molti gli inediti, fra cui uno scambio epistolare con l’amico Aldo Palazzeschi. Colpisce soprattutto il Picchi diarista. Ecco, in data 3 maggio 1994, questo ritratto al vetriolo di Eugenio Scalfari (già suo direttore a “L’Espresso”), descritto mentre risponde alle domande di Giovanni Minoli a Mixer: «L’espressione è, come sempre, da oracolo, l’atteggiamento rigido, l’aspetto curato – ma gli occhi sono freddi, il viso nascosto da troppo pelo (in redazione si fa chiamare con compiacenza “il barba”)».
Picchi sottolinea «l’ambiguità delle false proteste di sincerità», come l’affermazione di «essere amicissimo di Paolo Mieli, che egli odia, ricambiato, e che fece cacciare da “L’Espresso” al principio degli anni Settanta». E poi il «berlusconeggiare senza accorgersene», il «travestimento da filosofo»; il padre «ex biscazziere di Sanremo da lui collocato alla fine come correttore di bozze onorario a “L’Espresso”».
Per finire con un’identificazione Scalfari-Ulisse, «che lui non rifiuta pur osservando ipocritamente: ‘Non mi identifico, sarebbe spropositato’».
“Panorama”, 2 ottobre 2008