Un omaggio gesuita al critico Debenedetti
Un omaggio gesuita al critico Debenedetti
Di Giacomo Debenedetti, il maggiore critico letterario del novecento italiano, nel 2007 ricorrono i quarant’anni dalla morte. Oggi a Roma, alla Sapienza, avrà luogo un convegno, organizzato da Giulio Ferroni, con vecchi amici, colleghi e nuovi “allievi” del magistero di Debenedetti (da Walter Pedullà, che fu assistente di Debenedetti, all’ebreo “hungry” Alessandro Piperno). Ma tra i tanti omaggi, quello che colpisce di più è di Antonio Spadaro, sul numero de L’immaginazione dedicato a Debenedetti. Colpisce, in positivo, per carità, perché Spadaro è un gesuita, è il critico letterario, molto eclettico (ultimamente ha anche fornito una lettura cristiana di Kerouac), di Civiltà cattolica, e si trova ad elogiare un ebreo, per di più laico, che si dichiarava marxista e, tra le altre cose, si servì della psicanalisi e della fisica quantistica – applicando genialmente il principio di indeterminazione – alla letteratura novecentesca. Insomma, non proprio un cultore del pensiero forte (fu insofferente verso l’idealismo crociano). «Se la critica dimentica il confronto con il senso della vita è condannata semplicemente ad essere un “flatus vocis”». Debenedetti, invece, per Spadaro, non corre questo rischio per la «radice profonda di una forma critica così intensa e coinvolgente da divenire una vera e propria vocazione bruciante, ampliamente biblica». Spadaro parte, correttamente, dall’analisi dei Profeti. Poi, individua nell’esegesi biblica la matrice del metodo debenedettiano, creando parallelismi tra alcuni profeti e i grandi autori analizzati da Debenedetti: Amos e Vittorio Alfieri, Osea e Saba, Geremia e Dostoevskij. Alla fine, modello di azione del critico letterario, soprattutto in relazione alla umanissima figura del personaggio del romanzo novecentesco, è proprio il profeta. Secondo Spadaro che, si rivolge a Debenedetti, così: lo «sento vicino: padre, maestro, ma anche compagno». Della compagnia di Loyola.